Oggi sono uscite due notizie che sembrano speculari. Una viene dalla Sicilia occidentale, da Corleone per l’esattezza; l’altra dalla parte orientale dell’Isola: da Catania. Entrambe danno un senso di scoramento e di smarrimento, perché entrambe ci raccontano cosa è diventata – al di là delle ipocrite parate in occasione degli anniversari – la lotta alla mafia. Se una volta, fino a non troppi anni fa, i mafiosi dicevano che la mafia non esiste, oggi l’obiettivo è oscurare in qualsiasi modo chi in questa terra di saccheggiatori - governata da un uomo che frequenta i boss – si batte in difesa della legalità. E fa male al cuore dover registrare una terza notizia che, sempre oggi, quasi a chiudere il cerchio o un ideale triangolo, viene dalla parte meridionale della Sicilia, da Ragusa, e riguarda una sentenza della magistratura.
Cancellare, oscurare, imbrogliare le carte. Anzi, i faldoni. Perché la prima notizia riguarda proprio la “Stanza dei faldoni” che si trova a Corleone, all’interno del Centro internazionale di documentazione sulle mafie e movimento antimafia. Inaugurata nel 2000, la struttura ha ricevuto in dono dalla camera penale del Tribunale di Palermo centinaia di documenti riguardanti il maxiprocesso, che però nessuno può consultare. Non un archivio. Non un inventario.
A denunciarlo è stata Massimiliana Fontana – che gestisce il Centro – spiegando come dal giorno dell’inaugurazione, ben undici anni fa, “aspettiamo che si proceda alla digitalizzazione dei documenti. Senza, è impossibile, per chi deve fare una ricerca, trovare dei riferimenti precisi. E’ come cercare un ago in un pagliaio”. Ed è quanto accaduto – secondo il racconto di Fontana - a una ragazza arrivata apposta da Parigi per studiare i documenti che le servivano per la sua tesi di laurea e tornata a casa con un pugno di mosche in mano. Mentre a Corleone – è sempre la denuncia di Fontana – molti nemmeno sanno che esiste il Cidma. Cancellare, oscurare, imbrogliare le carte.
La seconda notizia è quella di Catania e segue un’altra simile, proveniente sempre dal capoluogo etneo, arrivata all’inizio del mese. Tutte e due, non so quanto casualmente, in concomitanza con due anniversari importanti: il 9 maggio, giorno dell’uccisione di Peppino Impastato per mano mafiosa, e il 23 maggio, la data della strage di Capaci. Della prima avevo già parlato: Addiopizzo aveva lanciato una campagna di sensibilizzazione che si chiama “Un muro contro la mafia” e proprio dal muro in cui l’associazione aveva scritto la frase “Contro la mafia l’amore per la memoria e l’impegno dell’azione” qualcuno si era premurato di cancellare le prime tre parole. Oggi la seconda puntata: un altro mafioso – di questo si tratta, e non mi stancherò mai di ripeterlo – ha versato della vernice sul volto di Giovanni Falcone, raffigurato su un altro muro insieme a Francesca Morvillo, al viale Ulisse. Cancellare, oscurare.
Dev’essere per questo che oggi mi fa ancora più rabbia (rabbia accresciuta dal fatto che non mi piace commentare le sentenze della magistratura e invece mi sento quasi costretta a farlo, e accresciuta dal fatto che la magistratura, che tanto ha pagato in vite umane, metta a tacere le voci libere contro la mafia) sapere che la Corte d’Appello di Catania ha confermato la condanna al giornalista ragusano Carlo Ruta per “stampa clandestina”: un reato vecchio quanto il cucco tanto che, come ricordò due anni fa Beppe Giulietti in occasione della condanna di primo grado, negli ultimi trent’anni nessuno è mai più stato condannato per una cosa simile in Italia.
In Italia, appunto. Ma in Sicilia, no. In Sicilia chi tocca i fili muore e Carlo Ruta, dal suo blog, finché non è stato oscurato dal Tribunale di Ragusa, non ha mai smesso di toccare i fili, con le sue inchieste antimafia. Cancellare, oscurare.
Lo avevo già proposto in occasione del primo imbrattamento di Catania e lo ripropongo di nuovo adesso: facciamogli capire che noi con la mafia non vogliamo avere niente a che fare, che non abbiamo paura. Come abbiamo fatto con le bandiere della pace, mettiamo ai nostri balconi striscioni con le parole di Peppino Impastato: “La mafia è una montagna di merda”.
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