Oggi ho imparato una cosa nuova: la bandiera della Sicilia è gialla e rossa perché il giallo e il rosso sono i colori della nostra terra, i colori del limone e dell’arancio (che poi: a) dovrebbe essere arancione e non rosso; b) semmai è l’arancia e non l’arancio ad essere rossa o arancione e non certo l’arancio). E, siccome è a scuola che si impara, io questa cosa l’ho imparata proprio in una scuola, la media “Dante Alighieri” di Catania, ascoltandola dalla viva voce della preside (giuro: ho registrato, purtroppo, e ho riascoltato, così non posso nemmeno restare con il dubbio di aver capito male), una signora bicolore, bianco e nero dalla testa ai piedi – o, meglio, dalla montatura degli occhiali alla scarpa (tacco 15!) – che sembrava appena uscita da un bozzetto dello stilista André Courrèges (che dell’accostamento geometrico dei due non colori aveva fatto la sua cifra) e che così ha spiegato il bicolore siculo ai suoi alunni, convocati in aula magna a conclusione di un “progetto” sull’autonomia finanziato dall’assessorato regionale all’Istruzione e alla vigilia della giornata dell’Autonomia siciliana istituita l’anno scorso dal presidente Lombardo nel giorno della nascita dello Statuto isolano. Magari avrebbe potuto prima consultare un bignamino della sicilitudine e scoprire che quei due colori più probabilmente erano quelli comunali di Palermo (rosso) e Corleone (giallo) in lotta contro gli Angioini.
Non ha fatto meglio il deputato regionale dell’Mpa, Giuseppe Arena (il suddito, per intenderci, che – in base alle intercettazioni della procura di Catania che indaga Lombardo per rapporti con la mafia – si rivolgerebbe al presidente della regione con l’appellativo di “Sua maestà”), che si è premurato di raccontare ai ragazzini una storia liofilizzata della bandiera siciliana usando pari pari le parole che avrebbero potuto leggere da soli su Wikipedia e poi ha annunciato come grande traguardo del suo straordinario lavoro (?) di parlamentare regionale che lunedì prossimo depositerà un disegno di legge per stabilire che quella famosa bandiera debba essere appesa non – come stabilito nel 2000 – soltanto nel primo giorno di scuola, ma dal primo all’ultimo, sia nell’ufficio del dirigente scolastico che all’esterno dell’istituto. Sarebbe carino sapere quale fabbrica di bandiere vincerà questo vitalizio, dal momento che è chiaro come – mentre quella piazzata nella stanza del preside sarà protetta dalle intemperie – il gonfalone fuori se lo mangerà il sole. A occhio e croce ogni tre mesi, da moltiplicare per tutte le scuole di ogni ordine e grado della Sicilia.
Patetico e stucchevole, poi, l’assessore all’Istruzione e alla Formazione professionale (settore, quest’ultimo, giardino perennemente in fiore del clientelismo di Lombardo), Mario Centorrino, autentico tedoforo del passaggio quasi in massa del Pd alla corte di Lombardo, che si è profuso in una performance teatrale definendo l’iniziativa con gli studenti “un’ora di autentica emozione” e distinguendo fra la Sicilia “pura, degli onesti e delle persone perbene” da quella “rappresentata dai giornali”, cioè da quei cattivacci che parlano di mafia. Con punte di retorica degne di miglior causa quando ha spiegato che dietro lo Statuto siciliano “c’è lotta, sangue, azione, persone che sono morte” (ovviamente non si riferiva ai magistrati uccisi dalla mafia) e ha esortato a “coltivare l’orgoglio della nostra identità”, a pensarla “da siciliani”, a “essere un popolo, con i propri diritti, con i propri bisogni, con la possibilità di farsi valere”.
Ha dimenticato di spiegare a quei ragazzini che quando avranno finito la media, avranno fatto il liceo e si saranno laureati, per farsi valere dovranno andarsene il più lontano possibile dalla Sicilia perché qui non troveranno un lavoro nemmeno come schiavi. A meno di non voler chiamare “Sua maestà” il presidente della Regione.
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