Mia madre allora mentì sulla mia età. Il film - uscito circa tre anni prima - era vietato ai minori di quattordici anni e io non li avevo ancora compiuti, anche se mancava poco. Strano, perché tuttora farebbe carte false pur di dimostrare che ne ho dodici. Scene di sesso, di amanti clandestini, rapporti anagraficamente sbilanciati, film scandaloso (e forse, più di tutto, per l'embrione di ribellismo che conteneva in sé), insomma. Di quelli che, oggi, se lo fai vedere a un bambino delle elementari, quello ti guarderà deluso e irridente e commenterà: "Tutto qui?" Per poi passare all'attacco e chiederti per quale ragione di questo film non ci sia traccia nel capitolo del libro di storia riguardante il pleistocene.
E pleistocene, roba d'antan che fa sorridere - pindaricamente trasvolando dal cinema alla cultura o, più modestamente, al grado di istruzione degli italiani -, oggi appare "Io speriamo che me la cavo", summa dell'ignoranza di bambini delle elementari geograficamente limitata alla provincia campana, frutto di emarginazioni e ritardi economici, messa su carta vent'anni fa dal maestro Marcello D'Orta, testimone oculare e (povero lui!) uditivo.
Oggi, vent'anni dopo, l'ignoranza in Italia ha allargato i suoi confini a tutto il territorio nazionale e a tutti gli strati sociali ed è cresciuta: ha finito le elementari, ha fatto le medie inferiori e superiori, si è iscritta all'università.
Se n'è parlato qualche sera fa a Catania durante la presentazione del libro "Leggere, pensare, scrivere, cliccare" di Graziella Priulla che ha raccontato alcuni "nanetti" (giusto per adeguarmi al tema) della sua carriera di docente universitaria alle prese con giovani-adulti, ma anche professionisti o informatici superspecializzati, elettori dunque (e non c'è bisogno qui di spiegare quanto male faccia l'ignoranza alla democrazia), incapaci di distinguere una parola dall'altra.
"Uno sfogo, una biografia culturale", partita "dall'esperienza di docente" ma anche "dall'indignazione di cittadina", ha definito il suo libro Graziella Priulla, pur avendolo corredato di dati e ricerche scientifiche. E forse sono proprio gli esempi portati, quegli aneddoti che farebbero ridere se non ci fosse da piangere, a dare la misura - più dei numeri - della gravità della situazione. Priulla ha parlato degli "strafalcioni" nei concorsi per la magistratura", di presidi che scrivono "l'aradio", di laureati che non sanno compilare un modulo all'ufficio di collocamento, di studenti universitari (e i suoi sono iscritti a Scienze politiche!) che non sanno dare un significato ai termini "devolution", "Camera e Senato", "bicameralismo".
Ha raccontato di uno studente che, alla domanda se l'Italia sia una repubblica o una monarchia, ha risposto: "Non me lo ricordo: era nel programma dell'anno scorso".
Che poi, se fosse stato solo strafottente e non felicemente ignorante come una capra e quindi cretino, avrebbe potuto rispondere: "Una monarchia". E poi magari avere la furbizia di recuperare: "Sa, prof, mi sono confuso perché quando ho cominciato le elementari c'era lui, in prima media c'era lui, quando mi sono iscritto al liceo (o l'iceo?) c'era lui, quando mi sono innamorato per la prima volta c'era lui, quando ho dato il mio primo bacio c'era lui, quando ho fatto l'amore per la prima volta c'era lui, quando sono arrivato all'università c'era lui...ho creduto che fosse una monarchia".
Già, perché il problema è che negli ultimi vent'anni in Italia c'è stato Berlusconi, con il suo carico perverso di disvalori e le sue televisioni e i suoi tagli alla cultura, con il suo osceno progetto che, insieme al "depauperamento delle parole" - ha spiegato la docente - porta con sé il "depauperamento del pensiero": perché "a qualcuno fa comodo che gli Italiani non distinguano fra prescrizione e assoluzione".
Sicché capita (non a caso) che dalle scuole italiane si tolga lo studio del diritto e dell'economia, magari sostituendoli in Lombardia (grazie a un accordo fra la pessima Gelmini e l'orrido La Russa) con corsi di addestramento militare, e che in Sicilia si imponga lo studio del dialetto come lingua. Obiettivo "visibile", per Graziella Priulla, lo "sdoganamento dell'ignoranza".
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