domenica 13 maggio 2012
Scene da un matrimonio
Oggi voglio festeggiare un compleanno. Non è un compleanno tondo, ma quando ci si avvicina ai quaranta ogni anno è un'occasione di riflessione. E, un po', anche di tristezza.
Trentotto anni fa, il 12 e 13 maggio del 1974, quasi il 60% degli italiani disse no all'abrogazione della legge sul divorzio.
Quella norma, la Fortuna-Baslini - dal nome dei due parlamentari che l'avevano proposta, il socialista (ed ex comunista) Loris Fortuna e il liberale Antonio Baslini - era stata approvata nel dicembre del 1970, ma i democristiani e i fascisti (sempre contrari a tutto ciò che potesse liberare le donne dalle loro catene) quella legge non la volevano e fu per questo che promossero il referendum abrogativo. L'Italia si divise in due (un Centro-Nord divorzista e un Sud arretrato antidivorzista), ma il referendum voluto dalla parte più retriva del Paese non passò. E ci svegliammo tutti più civili. Accadrà lo stesso il 17 maggio 1981, trentun'anni fa, con il referendum che avrebbe voluto abrogare la legge sull'aborto (che oggi come ieri democristiani e fascisti vogliono abolire, sempre sulla pelle delle donne). E nello stesso anno, il 5 agosto 1981, sedici anni dopo il gesto dirompente di una grande siciliana - Franca Viola, rapita e violentata a 17 anni da un mafioso ad Alcamo, che rifiutò il matrimonio riparatore - l'Italia ebbe un'altra grande legge di civiltà, la 442, che abolì la possibilità di cancellare una violenza sessuale attraverso le nozze.
Quando non c'era il divorzio, le donne che si separavano (oltre ad essere considerate delle puttane) non avevano nemmeno il diritto di farsi una nuova famiglia con il loro compagno che non poteva riconoscere i figli nati dalla loro unione. Quei bambini spesso portavano il cognome della madre: cosa che dovrebbe essere "naturale" in un Paese civile ma che in quel caso diventava un marchio d'infamia. Quando non c'era il divorzio, gli uomini si facevano tranquillamente due o tre famiglie parallele.
E adesso cos'è diventato quel Paese? In vent'anni di regime berlusconiano l'immagine della donna e le loro conquiste sono state fatte a pezzi, i mariti hanno continuato a tradirle, i politici che difendono la famiglia hanno continuato ad avere due o tre mogli, i governi non hanno smesso un attimo di penalizzarle: niente asili-nido, niente lavoro, niente pensioni, donne ridotte ancora una volta a oggetti, bambole di gomma da usare per il trastullo di vecchi maniaci. Dall'altra, donne che hanno continuato a difendere i loro diritti e la dignità con le unghie e con i denti (le ultime, quelle di Senonoraquando, che hanno risvegliato le coscienze e fatto vacillare la dittatura del sesso a pagamento e chiamato con il loro nome - femminicidio - i delitti commessi da uomini incapaci di accettarne un ruolo che non fosse subalterno), che hanno continuato a brillare negli studi e nella carriera, che hanno messo fine a matrimoni basati sull'ipocrisia.
E gli uomini? Gli uomini - non tutti, certo, ma persino quelli più illuminati - hanno continuato a tenerseli i loro matrimoni fasulli finché morte non vi separi con corredo di amanti, confidando nella complicità di una società che fa l'occhiolino al maschio cacciatore.
Un mio amico attore, separato da poco, qualche giorno fa mi diceva che aveva la sensazione che "il mondo" costruito negli ultimi vent'anni non esistesse più. Ma gli attori scambiano le quinte teatrali per il mondo e dietro - infatti - non c'è niente. Il fatto, forse, è che gli italiani - e gli italiani maschi in particolare - sono un popolo sì di poeti, forse di navigatori (dopo Schettino vedrei di rivederle un po' 'ste categorie), di santi manco a parlarne, di attori certamente. Alcuni grandi attori, ai quali basta uno sguardo per ammaliarti, altri attori cani che non te ne accorgi solo se hai gli occhi foderati di prosciutto. E di solito sono i protagonisti principali e quelli più attaccati al ruolo di un dramma della solitudine e dell'ipocrisia di cui sono essi stessi - oltre che le loro donne - vittime: scene da un matrimonio.
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