martedì 31 gennaio 2012

Tutta l'economia siciliana nelle mani della mafia

Qualche giorno fa l'aveva detto Antonio Ingroia: "Il Parlamento siciliano è lo specchio fedele di una società e di una classe dirigente profondamente inquinata, soprattutto ai piani alti, dalle collusioni con il sistema mafioso". Già, ma Antonio Ingroia è partigiano della Costituzione, ergo "comunista", e qualche decerebrato invece di baciare a terra dove passa lui e i pochi come lui e invece di fare tesoro di quello che dice, invoca punizioni esemplari.
Oggi l'accusa, ancora più dura e - se possibile - ancora più esplicita, arriva come una frustata dal Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo: "Abbiamo il fondato sospetto che tutto il sistema economico siciliano, con particolare riguardo al settore degli appalti pubblici, sia stabilmente sotto il controllo della mafia".
Che poi vuol dire esattamente la stessa cosa, perché la gestione degli appalti pubblici è nelle mani appunto dei politici collusi con la mafia, dei funzionari collusi con i politici, della mafia collusa con i funzionari pubblici e via così concatenando. Solo che Ingroia, in quell'occasione, si è soffermato solo sull'Assemblea regionale siciliana mentre il suo capo oggi ha confermato in maniera assolutamente esplicita quello che molti di noi sanno già e cioè che l'isola non è bagnata dal mare e baciata dal sole, ma immersa totalmente in una nebbia nera, puzzolente e vischiosa.
Messineo stamattina ha parlato agli studenti palermitani, a Palazzo Steri, in occasione della prima di una serie di lezioni antimafia promosse dalla Fondazione Falcone in collaborazione con l'Università e Confindustria Sicilia e ha ricostruito la consistenza della mafia (solo per fare un esempio: fra tre e quattromila "individui" fra le province di Palermo, Trapani e Agrigento), i progressi fatti dagli inquirenti, gli strumenti legislativi che li hanno consentiti, come la confisca dei beni e l'istituto del collaboratore di giustizia. Ribadendo, però, che non bisogna cantare vittoria se il numero degli omicidi è calato: appunto perché invece il potere di infiltrazione della mafia nel settore economico c'è tutto.
Poi ha ricordato come ai tempi in cui era studente lui si negava perfino l'esistenza della mafia, imputandone l'invenzione alla fantasia di giornalisti sfaccendati.
In tutta franchezza, non sembra che la situazione in questo senso sia cambiata molto: i giornalisti continuano ad essere intimiditi dalla mafia o indotti al silenzio dai loro stessi editori; i magistrati che fanno il loro lavoro e che - avendo giurato sulla Costituzione - dedicano (e rischiano) la vita alla difesa della Carta costituzionale vengono redarguiti e intimiditi per ubbidire agli ordini di quei partiti che alimentano e si alimentano di quel sistema di collusioni.
A Ingroia, per essersi dichiarato partigiano della Costituzione, hanno detto qualcosa che suonava come: "Sta' attento, ti teniamo d'occhio". E non era molto diverso da quei bigliettini recapitati a casa dal minacciante al minacciato in cui c'è scritto soltanto il nome di suo figlio e quello della scuola che frequenta.
Val la pena riportare le parole di un altro magistrato intervenuto oggi allo Seri, Gioacchino Natoli, a proposito di Giovanni Falcone: "Posso dire, da testimone diretto, di aver visto pochissime persone aiutarlo, ma di ricordarne moltissime che lo hanno ostacolato". Vent'anni dopo, la storia sembra non averci insegnato niente.

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