Quando fu assassinata Maria Grazia Cutuli, la locale carta da pesce pensò bene di affidare un editoriale a un nostalgico di casini e casinò, che non riuscì a resistere all'orgasmo di farsi un'overdose di gossip. E dunque poco importava che Maria Grazia fosse morta mentre faceva giornalismo d'inchiesta in una zona di guerra, che fosse uno dei tanti giornalisti costretti a lasciare la loro terra per non restare servi: la cosa importante sembrava fosse la vita privata, come si trattasse di una soubrette, con tanto di sottintesi pruriginosi e allusioni. Sicché - forse era questo il sillogismo del moralizzatore dei costumi -, se conduci una vita (privata o professionale) spericolata, se la guerra la documenti standoci in mezzo - invece che da giornalista embedded che se la guarda stando comodamente al desk in una camera d'albergo - è ovvio che te la sei cercata.
E l'ha ritirata fuori Maria Grazia Cutuli, qualche giorno fa, in un pezzo pieno di retorica soffiata come un vetro di Murano o come il riso del ciocorì, per parlare di Stefania Noce, assassinata a 24 anni con otto coltellate dal suo fidanzato che non accettava la fine della loro storia. Proprietà privata la "femmina", su cui esercitare diritto di vita o di morte. L'ha ritirata fuori per raccontarci che Stefania avrebbe voluto fare la giornalista come Maria Grazia e dunque, sembra di cogliere un sottinteso, vivere pericolosamente la propria vita. Ma non bastava: lei - sottolinea l'editorialista - aveva già programmato il suo destino che non coincideva con quello del suo ragazzo. Grave colpa per una donna nella Sicilia soffocata dal burqa della stupidità maschile. Per finire, ancora una volta, il sottinteso, il sospetto, l'insinuazione: forse Stefania a Catania, dove frequentava l'università mentre lui studiava a Roma, "deve avere fatto altre amicizie". Insomma, cherchez l'homme o - come dicono certi siciliani antichi - "cercava l'erba ca diu maledissi" (ininfluente che il riferimento sia alle scelte private o all'ambizione professionale) e questo, attenuando la colpa dell'assassino, giustificherebbe il sangue agli occhi e la Cavalleria rusticana o - peggio - la lapidazione della "colpevole".
Del resto, attenuare la colpa è quello che cerca di fare l'avvocato del femminicida, dipingendolo come innamorato perso. E del resto, per i fascisti le "femmine" che lottano per i loro diritti e che aspirano alla realizzazione professionale sono puttane. Certo, è il mestiere dell'avvocato tentare di alleggerire la posizione dell'assistito ma forse si sarebbe potuto evitare di dare a Stefania la nona coltellata facendo difendere il suo assassino da un fascista, segretario regionale de La Destra di Francesco Storace.
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