lunedì 10 ottobre 2011

Aumento della produzione e aziende in crisi. C'è qualcosa che non torna

Io di numeri non ne capisco e ancor meno di economia. Se non, forse, di quella domestica: che, quando hai finito di pagare le bollette di luce, acqua, gas telefono, se restano soldi mangi, altrimenti archivi la pratica. Come fanno, ormai, miglia di siciliani e milioni di italiani. E dunque, se non fosse che appartengo appunto alla schiera sempre più numerosa di quelli che - avendo smesso da un pezzo di comprare libri e giornali, andare al cinema, a teatro e in vacanza - quando hanno bisogno del caffè aspettano di essere a casa per prepararsene uno, i miei potrebbero essere definiti discorsi da bar. Perciò qualcuno mi dovrebbe spiegare il nesso che c'è fra due notizie: la prima, fresca di giornata, è che l'Istat ci comunica un "inatteso balzo della produzione industriale in Italia nel mese di agosto", del 4,3%, aggiungendo in toni trionfalistici che si tratta del dato migliore degli ultimi undici anni e che addirittura la produzione di autoveicoli è cresciuta del 31,7%; la seconda - contenuta in un'inchiesta di "A sud'Europa", il settimanale del Centro Pio La Torre - è che in Sicilia nei primi sei mesi del 2011 sono state chiuse ben 20.000 aziende.
Il periodico si concentra particolarmente sulle imprese della provincia di Palermo e l'elenco è agghiacciante, a partire dalla Fiat che già da qualche anno ha mandato a casa migliaia di gente e diminuito gradualmente la produzione (evidentemente secondo l'Istat la Sicilia non è in Italia, altrimenti sarebbe bastato il solo dato di Termini Imerese a mandare a gambe per aria le magnifiche sorti e progressive della balla filogovernativa sull'aumento della produzione di autoveicoli, che comunque non reggerebbe nemmeno sostenendo che Marchionne si sia fermato ad Eboli, invece di andarsene a fare soldi fuori dall'Italia); poi c'è Fincantieri che ha smesso di fare navi e si limita alle riparazioni, che in termini di esseri umani in carne ed ossa vuol dire 220 operai su 500 in cassa integrazione; c'è la Keller che di operai in cassa integrazione ne ha 200 su 200 e che per tutti ha avviato le pratiche per la mobilità (che altro non significa se non licenziamento) con l'obiettivo di chiudere al più presto; c'è Palitalia che produceva pali e pensava di riconvertirsi per produrre pannelli fotovoltaici, ma il governo nazionale ha tagliato gli incentivi e così anche qui il 100% degli operai è in cassa integrazione: 55 su 55; altrettanti quelli della Effedi di Carini messi in mobilità e oltre mille gli operai edili licenziati in meno di un anno.
Già basterebbero questi numeri a far dire che la Sicilia annega nella disoccupazione: tre/quattromila operai solo nella provincia di Palermo, in una terra dove sono ancora tantissime le famiglie monoreddito, vuol dire bambini a rischio cibo, ragazzi che non potranno andare a scuola, giovani che non potranno pagarsi l'università, servi che dovranno decidere se abbandonare la loro terra o elemosinare in un patronato in cambio di voti un lavoro a tre mesi o infine farsi assumere dalla più grande azienda italiana che non si chiama Fiat, ma Mafia SpA. E poi, giusto per limitarci alle due province principali, ci possiamo aggiungere i dati di Catania: soltanto qualche giorno fa la St Microelectronics, che ci si ostina a definire azienda leader nella produzione di componenti elettronici, ha avviato la cassa integrazione per 2.200 dipendenti che, calcolando una famiglia media di tre persone, vuol dire la popolazione di alcuni centri della provincia come Vizzini, Linguaglossa, Mirabella Imbaccari, Calatabiano....un intero paese raso al suolo. Poi ci aggiungiamo Pfizer, Numonix, Sat, Cesame e sono altre migliaia di famiglie che ogni giorno si svegliano sapendo che il loro futuro è già passato. E aggiungiamoci, ancora, il colpevole disinteresse di un governo regionale di destra che negli ultimi anni ha ampliato a dismisura la lista dei propri consulenti e spostato gli uffici di collocamento nelle sedi dell'Mpa, il partito del governatore che prende i voti dai mafiosi, puntellato - in cambio della gestione di qualche patronato dove esercitare la clientela - da una parte sostanziosa di quel Pd che andrebbe denunciato per millantato credito per la sua ostinazione a volersi definire erede del Pci di Pio La Torre.
La denuncia del presidente della Confesercenti siciliana, Giovanni Felice, intervistato proprio da "A sud'Europa", è secca: "...parte dei finanziamenti per la cassa integrazione sono stati dirottati sulla formazione e non sulle aziende in crisi". In pratica quei soldi sono serviti a rendere ancora più profondo quel pozzo senza fondo di clientele che è la formazione, per la gioia dell'assessore Centorrino, entrato nella giunta Lombardo spacciandosi per tecnico, ma con la tessera del Pd in tasca. I lavoratori delle fabbriche ringraziano gli ex compagni. Comunque aspetto ancora che qualcuno mi spieghi perché l'Istat ci racconta la balla dell'aumento della produzione nelle fabbriche italiane, soprattutto quelle dove si fabbricano autoveicoli. E ancora: dopo che le hanno fabbricate, chi se le compra dal momento che con la scusa della crisi stanno impoverendo sempre di più i lavoratori? Ma forse parlavano dei Suv, che Marchionne venderà certamente ai mafiosi e agli evasori fiscali.

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