Alla fine ha dovuto arrendersi. No, non alle forze dell'ordine, che pure motivi per cercarlo forse ne avrebbero, ma a una sentenza della Corte di Cassazione sull'incompatibilità del doppio incarico di sindaco e deputato regionale. Per la verità in questo senso si era già pronunciata oltre un anno fa la Corte costituzionale, sancendo l'incostituzionalità della legge regionale siciliana che "non prevede l'incompatibilità fra l'ufficio di deputato regionale e la sopravvenuta carica di sindaco o assessore di un Comune con più di 20 mila abitanti", ma - come dire - i diretti interessati se n'erano bellamente fottuti.
Uno di questi è Raffaele Nicotra, detto Pippo, sindaco di Acicatena (comune di poco meno di 29.000 abitanti), assessore provinciale al Bilancio e - appunto - deputato regionale, esponente del partito di maggioranza relativa (un terzo dell'intero cosiddetto "Parlamento" isolano) rappresentato dai deputati inquisiti e/o condannati. Alcuni dei quali per rapporti con i boss, ai quali non sembra estraneo Nicotra che negli anni Novanta, nel corso di una sua precedente sindacatura - scambiandola per un saloon - fece irruzione in caserma e minacciò un capitano di polizia per indurlo ad annullare il divieto di funerali pubblici per un affiliato del clan Santapaola, disposto dalla Questura. Nel 2009, poi, la Dda di Catania lo accusò di favoreggiamento aggravato alla mafia: requisito irrinunciabile per essere nominato componente della Commissione antimafia dell'Ars.
Insomma Pippo, dopo essersi distinto per il suo voltagabbanismo compulsivo, passandoseli tutti (i partiti del centrodestra) che manco una delle escort papiste, ed essersi profuso in una frenetica attività parlamentare producendo come primo firmatario in quest'ultima legislatura (cioè in tre anni buoni) ben sei ordini del giorno, una mozione e un disegno di legge (che - siccome si fa chiamare Pippo ma è Raffaele e, in quanto tale, particolarmente votato alla gestione del potere nel settore sanitario - riguarda la possibilità di estendere alle strutture private il servizio di ospitalità e prestazioni sanitarie "a persone non autosufficienti in condizioni di instabilità clinica" che il pubblico non riesce a garantire), oggi ha comunicato di avere appreso dai suoi avvocati della decisione della Suprema Corte, ha sottolineato piccato di "non aver al momento ricevuto alcuna comunicazione ufficiale", ci ha informati di aver deciso di optare per la carica di parlamentare regionale e non ha omesso di accusare Ascenzo Maesano - un altro bel tomo, primo dei non eletti nella lista del Pdl, pure lui ex sindaco di Acicatena e pure lui coinvolto in inchieste antimafia - di aver fatto ricorso alla Cassazione "evidentemente bramoso di sedere tra gli scranni di Palazzo dei Normanni, muovendosi con scarso calcolo politico, infischiandosene dei suoi concittadini e delle conseguenze che tale decisione rifletterà sulla collettività tutta".
Quindi ha rincarato la dose: "Tre anni e mezzo di lavoro con la mia squadra assessoriale ha ("hanno", Pippo: il soggetto è plurale! ndr) concretizzato i primi risultati di un risanamento dell'ente comunale, dopo i disastri del passato, su cui avremmo potuto incidere significativamente per rimettere ordine nei conti pubblici e negli atti amministrativi e, di conseguenza, nel territorio".
Onorevole (si fa per dire), mi permette una domanda? Ma perché, se Acicatena senza di lei rischia il baratro, il fallimento, la débâcle, il tracollo, non ha scelto di dimettersi da deputato regionale e restare a fare il sindaco? Non è che per caso uno stipendio da quasi ventimila euro e il potere che si gestisce da Palermo fanno più gola del compenso da sindaco (circa 3.500 euro) e delle clientele limitate a un territorio di otto chilometri quadrati? Certo: two is meglio che one, ma se uno proprio è costretto a scegliere due conti se li fa.
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