A Catania lo conoscono tutti da sempre, almeno quelli che si interessano da decenni alla politica locale. Domenico Sudàno (ma pure sùdano, nomen omen) è quel politico dall'aspetto untuoso e riporto d'ordinanza, da sempre protagonista della vita politica catanese e siciliana, da quando era un esponente della corrente andreottiana della Dc - giusto per rinfrescarci la memoria, quella capeggiata da Salvo Lima e di cui facevano parte o con cui avevano rapporti stretti Vito Ciancimino, sindaco mafioso di Palermo; Nino Drago, grande distributore di appalti a Catania ai tempi dei cosiddetti "cavalieri del lavoro"; Giuseppe Giammarinaro, a Trapani, vicino agli esattori della mafia Nino e Ignazio Salvo; e l'elenco potrebbe continuare -: negli anni Ottanta presidente del Comitato di gestione della Usl 34 di Catania nella cui qualità fu condannato per un concorso truccato, poi con i vari passaggi da Ccd, Udc e chissà che altro sempre democristiano e sempre a galla fino al Pid (cioè l'Udc di Totò Cuffaro), segretario regionale dell'Udc che definì "casi isolati" la schiera boriosa e impunita di esponenti del suo partito indagati per mafia, consigliere comunale, componente di una giunta Scapagnini e insieme a tutti gli altri assessori indagato per abuso d'ufficio nella gestione del personale del comune, parlamentare nazionale con le varie metamorfosi dello stesso partito. In più: laureato in Lingue, funzionario statale e da molto prima di compiere sessant'anni anche pensionato.
Un curriculum di tutto rispetto e competenze specifiche, tanto che il suo amico e collega di merende - e probabilmente di grandi mangiate nelle masserie delle campagne siciliane -, Saverio Romano (Ministro per le Politiche agricole e imputato coatto per rapporti con la mafia), lo ha nominato presidente del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, il quarto ente pubblico di ricerca nazionale - come si legge sul sito -, con 1.400 dipendenti, 54 sedi operative periferiche e proprietario di oltre 5.300 ettari di aziende sperimentali. E vuoi mettere - che so - che nella sperimentazione sia compresa la pratica di parlare alle piante per farle crescere rigogliose? E se sono piante che arrivano dal Cile o dal Canada, chi ci parla? Ci parla Sudano, laureato in lingue. E poi, pensate il vantaggio di un pensionato che va ai giardinetti e se li coltiva con le sue mani amorevoli.
Chissà che avranno tutti - scienziati, ricercatori, sindacati, bioagricoltori - da cianciare e da lamentarsi su questa nomina più che appropriata? Insomma, pensateci bene: è perfettamente in linea con questa splendida immagine bucolica che ogni giorno ci restituisce il nostro Paese da Nord a Sud. C'è il pensionato Sudano sudato e con la pelle solcata dal sole mentre coltiva i giardinetti con le sue mani; ci sono stalle, cavalli e immancabili stallieri; c'è il bon sauvage che si nutre di cicoria e ricotta e non capisce nulla - nella sua beata innocenza - di carte, scartoffie, documenti, complicazioni burocratiche e però la famiglia la deve "campare" e perciò che glielo chiediamo a fare il certificato antimafia, c'è la Sicilia che è il granaio d'Italia (e pure il maggior serbatoio di voti) che esporta contadini e pensionati per arare, seminare, concimare, trarre profitti per la prima azienda italiana, fatturato annuo centotrentacinque miliardi di euro, con casa madre nell'Isola e sedi operative in tutta Italia, compresa la Lombardia di Bossi e di Maroni.
Il cui partito, la Lega, domani sarà in prima fila quando la maggioranza rinnoverà la fiducia al ministro Romano: per fare un piacere alle colonie di "contadini" siciliani che hanno colonizzato il Nord e soprattutto per pagare la gabella al proprietario della masseria, che quotidianamente irriga le loro casse.
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