sabato 14 settembre 2013
Sembra ieri
C'è qualcosa che non torna. O meglio: torna sempre, torna ostinatamente, torna ossessivamente, torna ciclicamente e in maniera molesta. Già, i corsi e i ricorsi della storia. E soprattutto, la storia insegna ma non ha scolari.
Qualche anno fa una compagna mi regalò un reperto archeologico, che custodisco con rispetto: non è ancora sotto la tutela della soprintendenza, ma poco ci manca. E' un "volantino" formato tabloid calibrato: Unità delle sinistre Catania (cioè Dp, Pdup, Mls), elezioni amministrative di non so più quando, comunque fine anni Settanta. Candidati e programma. Di tanto in tanto lo tiro fuori e mi diverto (o mi intristisco) a leggere i nomi: a parte qualcuno che se n'è andato senza avere la possibilità di diventare vecchio, ci siamo tutti: operai, disoccupati, studenti nel frattempo diventati psichiatri, dentisti, ingegneri; qualcuno già allora docente universitario e oggi in pensione; gli stessi che oggi si ritrovano alle manifestazioni con la pelle avvizzita e i capelli bianchi, con la differenza che in quella lista ce n'erano di più di quanti ci ritroviamo oggi ai presìdi.
Stavolta ho dato un'occhiata al programma. In sintesi: contro la Dc, per lo sviluppo di Catania, contro la politica di unità nazionale, per l'alternativa di sinistra. Mutatis mutandis, esticazzi. Idem per il programma dettagliato: disoccupazione, condizione femminile, no al nucleare, no alla guerra, no al terrorismo, lotta alla mafia, depenalizzazione delle droghe leggere. E poi Catania: piano regolatore, palazzinari a bestia, sfratti. Dopo di che mi cade l'occhio su una frase: "Il voto del 3 e del 10 giugno, in tutto il Paese (e - scusate la digressione - anche questo mi dà la misura della mia vecchiaia, visto che sono rimasta fra i pochissimi che scrivono ancora Paese con la maiuscola, come quarant'anni fa), ma con evidenza maggiore in Sicilia e a Catania, ha dimostrato chiaramente, con l'arretramento della sinistra e la crescita dell'astensionismo, che esiste una critica politica di massa alla strategia dominante della sinistra, una critica della politica come attività estrema e contrapposta ai bisogni delle masse, una crisi delle forme tradizionali di organizzazione politica e di partecipazione popolare". Pare oggi.
Con una particolarità, che in un altro passaggio si parla della necessità di "elaborare un progetto di lotte e di obiettivi tale da ricostruire una credibile unità della sinistra e coinvolga in questo processo PCI e PSI" (che, evidentemente, a quel tempo non era ancora quella merda che poi sarebbe diventato e forse era meno peggio - cosa oggettivamente difficile - di questo Pd).
Dopo di che qualcuno ha cominciato a pensare di essere unico titolare di quel simbolo (falce e martello su globo stilizzato), qualcuno a proclamarsi più comunista degli altri, qualcun altro a ritenersi più titolato di altri come giudice del tasso di comunismo nel sangue di ciascuno. Più, più, più. Come un giocatore di poker che, di rilancio in rilancio, si spinge nel baratro con le sue stesse mani. E ogni volta che ci si riprova è sempre la stessa storia. Pare ieri, pare oggi. Salvo poi, all'ennesima sconfitta elettorale, farsi la consueta pippa sulla "critica politica di massa alla strategia dominante della sinistra". Scusate, ma quale sarebbe la strategia dominante della sinistra, quella di prendersi a martellate sui coglioni da qui all'eternità?
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