Stancanelli somiglia a uno di quegli uomini che, nel corso della notte, a intervalli regolari, farfugliano qualcosa nel sonno facendoti pensare che si stiano svegliando e invece si girano dall'altra parte e si rimettono a russare.
Sicché, ciclicamente, il sindaco di Catania si sveglia e fa tre cose: a) comunica che il bilancio comunale è stato risanato; b) informa che comunque lui questo stato di cose lo ha "ereditato" (ma, da avvocato, dovrebbe sapere che un'eredità si può rifiutare o al limite accettare con il beneficio di inventario); c) prende carta e penna e scrive a qualcuno per chiedergli soldi.
Nel settembre del 2008, cioè appena tre mesi dopo essere stato eletto, il primo cittadino catanese, succeduto al suo amico di partito Umberto Scapagnini, intinse la piuma nel calamaio e penna e scrisse al presidente del consiglio e capo del suo partito, Silvio Berlusconi, per illustrare la drammatica situazione di Catania non dimenticando di "dissociarsi" dal suo predecessore - "Non voglio essere corresponsabile della definitiva sconfitta di Catania" - e dimenticando invece di esserlo, perché mentre il saccheggiatore partenopeo si sputtanava i soldi dei catanesi in ballerine brasiliane e giocava con la neve inforcando gli sci e cimentandosi nel centimetro lanciato in via di Sangiuliano, lui era Assessore regionale agli Enti locali, cioè quello che avrebbe dovuto fargli il culo vedendo che le casse comunali erano diventate consunte come una modella anoressica. Però lui continuava e continua: non sono stato io. Dopo di che, con una serie di operazioni "fantasiose" svelate un anno dopo da Milena Gabanelli, il suo padrone (quello nordico, perché ne ha anche uno sudista) gli concesse centoquaranta milioni di euro. Grazie ai quali, stando a quello che ci racconta appunto ciclicamente e facendo un po' di somme, Stancanelli sarebbe riuscito a coprire debiti per almeno centoquaranta milioni di milioni di euro, saldando i fornitori, risanando il bilancio delle partecipate (è dei giorni scorsi la notizia che l'Amt non può pagare gli stipendi di gennaio), pagando tutte le utenze, eccetera. Certamente li ha spesi per continuare ad assegnare consulenze e per pagare sette milioni di euro la diretta televisiva del consiglio comunale convocato per dirci che non si sarebbe dimesso perché aveva risanato le casse comunali.
Poi si è girato dall'altra parte e si è rimesso a russare. Ma ieri ha ripreso dita e tastiera e ha scritto al nuovo presidente del consiglio per un nuovo giro di questua dimostrando che Catania è ancora con il culo per terra e che non c'è stato alcun risanamento. Anche questa volta, scegliendo i toni allarmistici e sottolineando di avere ereditato la situazione debitoria da quello di prima e di essersi invece adoperato per "invertire il trend finanziario delle precedenti gestioni che aveva portato il Comune di Catania sull’orlo del dissesto", a Mario Monti ha chiesto soldi e in particolare 50 milioni di euro di trasferimenti ai comuni senza i quali - ammonisce - non saranno più garantiti alcuni servizi, in particolare quelli sociali e "tutti quelli connessi al ciclo di smaltimento dei rifiuti" (ma dubito che ce ne accorgeremmo), e non sarà possibile pagare gli stipendi ai dipendenti comunali e a quelli delle partecipate. Per essere più convincente, la lettera l'ha fatta firmare pure dal ragioniere generale e l'ha indirizzata anche al Ministro dell'Interno avvertendo che ci potrebbero essere problemi di ordine pubblico. Che voglia inforcare anche lui il forcone?
Comunque sia, a Stancanelli - un po' Plauto e un po' Montesquieu - va certamente riconosciuto il merito di avere inaugurato un nuovo genere letterario: la farsa epistolare.
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