giovedì 17 marzo 2011

L'indifferenza, una cosa da morti

“Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti”.
Sì, certo, adesso è diventato più famoso di una rockstar (e chi glielo doveva dire che un giorno avrebbe partecipato a Sanremo!?), ma da quanto tempo colpevolmente molti insegnanti ignorano il letterato Antonio Gramsci per paura di essere additati come seguaci del politico Antonio Gramsci, comunista, praticamente l’orco in questo mondo all’incontrario che è l’Italia, dove l’orco – quello vero, che paga prostitute minorenni e parlamentari maggiorenni per le loro prestazioni sessuali – sta al governo, cancella la Costituzione, riduce sul lastrico la scuola pubblica per favorire quella privata, riforma i magistrati per piegarli al suo volere, smantella il Ministero dei Beni culturali: che crollino tutti in modo da attuare un infinito e redditizio piano di cementificazione da Aosta a Marsala.
Quello che l’orco ha già fatto, lo ha potuto fare grazie all’indifferenza: “L’indifferenza – dice Gramsci - è il peso morto della storia…..il male che si abbatte su tutti non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare”.
Una sorta di fil rouge lega lo scritto di Antonio Gramsci all’accorato urlo di Stéphane Hessel, “Indignez-vous!” – Indignatevi! -: saggio di una ventina di pagine (che riporta in parte anche l’appello firmato dai resistenti francesi nel 2004), scritto con entusiasmo giovanile da questo novantatreenne partigiano per ricordarci come proprio l’indignazione sia “il motivo di base” della Resistenza contro il nazismo e il fascismo e come non manchino nemmeno oggi i motivi di indignazione in “questa società dei sans-papiers, delle espulsioni, del sospetto nei confronti degli immigrati”, in questa società che rimette in discussione le conquiste sociali e nella quale “i media sono nelle mani dei benestanti”. Motivi di indignazione che Hessel sintetizza in due grandi sfide: lo scarto “immenso” e che non smette di aumentare fra poverissimi e ricchissimi e poi – insieme, strettamente legati – i diritti (sempre più negati) dell’uomo e lo stato del pianeta. Anche il vecchio partigiano ebreo naturalizzato francese, come Gramsci, non ha dubbi in proposito: l’indifferenza, dire “non posso farci niente”, è il peggiore degli atteggiamenti perché una delle “componenti essenziali” dell’essere umano è invece l’esatto contrario: la capacità di indignarsi e “l’impegno che ne è la conseguenza”.
In Francia, nella Francia di Sarkozy, come nell’Italia di Berlusconi, come nella Sicilia della mafia, di Totò Cuffaro, di Raffaele Lombardo, del clientelismo elevato a sistema, virus letale e contagioso alimentato proprio da quel “se débrouiller” di Hessel, quel lavarsene le mani e pensare solo per sé, quel “non posso farci niente”, alibi per la piccola raccomandazione, per il tirar dritto di fronte alle ingiustizie e all’illegalità, per l’indifferenza appunto. Odiosa indifferenza, una cosa da morti.
E allora ecco che, però, il filo rosso che lega Gramsci ed Hessel arriva anche nell’Isola, con una frase un po’ più lunga del gramsciano “Odio gli indifferenti” o del partigiano “Indignez-vous!”, ma altrettanto breve e altrettanto dirompente: “Raccontare questa Sicilia vuol dire prendere posizione”. Sembra buttata lì per caso (ma è chiaro che non lo è affatto) eppure contiene l’essenza di quella che - non per frase fatta ma per dare il senso di quanto coraggio ci dev’essere voluto – non è esagerato definire una nuova avventura editoriale: “I quaderni dell’Ora”, mensile appena nato a Palermo, che si richiama allo storico quotidiano del secolo scorso e alle sue battaglie antimafia.
Quella frase - “Raccontare questa Sicilia vuol dire prendere posizione” - è esattamente al centro dell’editoriale del primo numero (uscito il mese scorso), strettamente concatenata ad altre due frasi, una subito prima e l’altra immediatamente dopo, che non lasciano dubbi sull’impegno civile e sulla necessità di indignarsi e impegnarsi, di prendere posizione. Nella prima, il Comitato di direzione lo afferma senza timore: “La Sicilia è preda delle più bieche tentazioni autonomiste che, in nome di un fantomatico riscatto del Sud, ci trascinano verso un’impostura separatista dalle pericolose potenzialità eversive”. L’altra è un impegno di onestà intellettuale: “Non facciamoci prendere in giro da chi sostiene i meriti alti di un’informazione anglosassone che non esiste nel mondo, figuriamoci in Italia”.
Un attualissimo intellettuale del secolo scorso, un giovanissimo partigiano di 93 anni e un neonato giornale storico ci dicono che, se non vogliamo che questo nuovo secolo di appena 11 anni sia dichiarato “nato morto”, abbiamo il dovere di avere il coraggio di vivere, e cioè di non essere indifferenti e di indignarci di fronte all’ingiustizia e all’illegalità dilagante.
E mi piace sottolineare che del Comitato dei garanti di questo nuovo/vecchio giornale appena (ri)nato a Palermo faccia parte Antonio Ingroia - oggi al centro di attacchi volgari da parte di una classe politica indegna, solo per aver difeso la vecchia, avanzatissima, straordinaria Costituzione italiana -: un magistrato equilibrato e rigoroso, certamente “schierato”, ma dalla parte della legalità. Dunque, un “eversore” in questo Paese all’incontrario dove i delinquenti stanno al governo.

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