giovedì 2 gennaio 2014

Pagine avvelenate

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Ma di che hanno paura, che tragga ispirazione? Che lo trasformi in arma impropria? Che ne annodi le 532 pagine e le usi per calarsi dalla finestra della cella? Che le avveleni una per una e le faccia avere come gentile omaggio a un boss rivale raccomandandogli un'attenta lettura?
"Aspettiamo di conoscere le motivazioni", come si dice quando vorresti tanto prendere a schiaffoni gli autori di una sentenza ingiusta e invece devi mostrarti politicamente corretto, ma certo se è vera la notizia che al boss gelese Davide Emmanuello, detenuto nel carcere di Ascoli Piceno, hanno vietato di leggere "Il nome della rosa", perché ritenuto "pericoloso", c'è qualcosa che non quadra rispetto alla pretesa funzione educativa o rieducativa della detenzione.
Notizia per di più "corretta" - come il caffè di Gaspare Pisciotta, per restare in tema - da un'altra proibizione: quella di leggere Il Manifesto. Ora, capisco che Gela sia la città delle grandi contraddizioni e incoerenze politiche, ma mi sentirei di escludere il rischio di una folgorazione di Emmanuello sulla via del comunismo e, per conseguenza, della lotta alla mafia. Rischio che per la direzione del carcere sembra essere maggiore della possibilità di farlo restare pervicacemente e ottusamente - cioè con la mente intorpidita dalla malvagità - un capomafia. In questo Paese a testa in giù, evidentemente, si può consentire che Totò Riina ordini dal carcere l'uccisione di Nino Di Matteo, perché in fondo rientra nell'ordine naturale delle cose, ma non che un boss coltivi la "perversione" di leggere libri e giornali.
"...il piú sicuro ma piú difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione". E forse sta proprio in quell'aggettivo - "difficile" - la chiave di lettura: più facile lasciarlo marcire nella gattabuia della sua ignoranza e della sua cattiveria, lasciarlo prigioniero dei desideri di vendetta e di rivalsa, tenere la sua mente chiusa in cella, incatenare il cervello.

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