Vogliamo cominciare dagli scassapagghiari? Almeno ci divertiamo un po’, perché dopo – quando ci imbatteremo in criminali veri e briganti – ci sarà da incazzarsi sul serio.
Sto parlando degli innumerevoli consiglieri comunali, consiglieri provinciali, assessori, deputati regionali che in Sicilia – forse con minor frequenza rispetto a qualche anno fa e probabilmente perché si sono fatti più furbi – finiscono in carcere per i reati più disparati e molti per premio vengono anche ricandidati dai loro partiti o – scilipoteggiando – da altri che li accolgono come salvatori della patria. E – spigolando sul web in cerca di notizie – si scopre che non si salva nessuno, da centrodestra a centrosinistra sia pure con nettissima prevalenza dei primi. Non si salvano ovviamente nemmeno gli ex Pci, quelli diventati Ds e poi Pd, seguendo quella che il presidente Napolitano chiamerebbe “naturale evoluzione” e che forse sarebbe più esatto assimilare a una mutazione genetica di quelle pesanti o un’aberrazione come è quella di chiamare pace la guerra. Si salvano solo quelli che di questa “innaturale” evoluzione non hanno voluto sentir parlare, cioè quelli che sono rimasti veramente di sinistra e comunisti (e non perché non ci siamo più a causa di una legge assassina – quella sullo sbarramento al 5% - voluta anche dal Pd per fare fuori gli unici che avrebbero fatto opposizione sul serio, ma perché la nostra “cifra” è la questione morale). E dire che un sobbalzo - seguito da irripetibile esclamazione, dal momento che Berlusconi può bestemmiare perché dà i soldi alla chiesa cattolica mentre se lo faccio io, che vorrei darli a Emergency o a Libera, mi arrestano - l’ho avuto imbattendomi nella notizia dell’arresto di un esponente Fds: ovviamente si tratta di Forza del Sud, il partito di Gianfranco Miccichè, e non della Federazione della Sinistra.
Dunque, torniamo agli scassapagghiari, ai ladri di polli. Ce n’è uno che farebbe perfino tenerezza per quant’è sfigato, se non venisse voglia di prenderlo a calci in culo per l’ennesima offesa alle istituzioni arrecata dalla sua presenza all’interno di una di esse. Il tipo in questione è poco più di un ragazzo, si chiama Vincenzo Riccardi, oggi venticinquenne, arrestato il 3 dicembre del 2008 a Caronia di cui era (ed è, almeno a quanto si apprende da un sito che fornisce informazioni sul comune e la sua amministrazione) consigliere comunale, eletto in una lista civica a sostegno della maggioranza guidata dal sindaco Giuseppe Antonio Collura. Ebbene, Riccardi è finito in manette praticamente in flagranza di reato mentre – con la refurtiva in spalla - andava via a piedi dalla casa di un professionista del suo paese dalla quale aveva appena rubato un televisore, un ventilatore e altre cazzate del genere. Ma la cosa più esilarante della vicenda è quello che si legge sul blog del Pd di Caronia (partito che sostiene la maggioranza) in un’analisi del voto amministrativo fatta qualche tempo prima: vi si fa notare che, rispetto allo scenario devastante di un centrodestra vincente dappertutto, “non mancano ancora quelle isole ‘felici’ del centrosinistra messinese come la nostra Caronia (il Pd è il primo partito con il suo 25% di consensi...” Esticazzi!
Assegnata la palma d’oro della coglioneria al giovane consigliere comunale, per pari opportunità è il caso di dare un’occhiata all’altra metà della galera. Una donna e avvocato per di più, anche lei molto giovane: all’inizio del 2008 a provare l’ebbrezza del sole a scacchi è stata la trentatreenne Caterina Vitello, consigliere comunale ad Alcamo, eletta con una lista civica (o civetta?) legata all’Udc, accusata di estorsione e turbata libertà degli incanti.
Non si contano poi gli spacciatori. Solo per citarne alcuni cercando di rispettare la par condicio per quanto lo consenta la situazione politica di un’Isola in cui tutti si alleano con tutti, è il caso di ricordare Cristian Giuffrè, giovanissimo consigliere comunale di Lipari (25 anni), trovato nell’aprile dello scorso anno con una cinquantina di grammi di hashish che avrebbe dovuto spacciare a Filicudi. Esponente del Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, Giuffrè girava pure con un coltello di genere vietato. Del Pd invece il suo “collega” spacciatore Giampiero di Venti, impiegato della prefettura e consigliere comunale ad Enna, che una parte della droga destinata allo spaccio (hashish e cocaina) la teneva nel suo ufficio del palazzo del governo. Consigliere uscente al momento dell’arresto – avvenuto nel maggio del 2010 – e ricandidato nelle elezioni amministrative che si sarebbero tenute da lì a qualche giorno, malgrado fosse già stato coinvolto in un’inchiesta della squadra mobile della sua città proprio su un giro di cocaina. Il Pd valorizza sempre i suoi uomini migliori.
Come un buon padre di famiglia, stava invece instradando il figlio sulle orme paterne in vista di un fulgido avvenire il consigliere comunale di Porto Empedocle, Giacomo Lombardo, del Pdl: nel dicembre del 2009 li hanno arrestati tutti e due, padre e figlio, per detenzione e spaccio di stupefacenti.
E, giusto per non farci mancare niente, c’è pure uno arrestato un paio di mesi fa nell’ambito di un’indagine per sfruttamento della prostituzione: ex An transitato a Forza del Sud (proprio il partito di Gianfranco “polverina”, quello secondo il quale intitolando l’aeroporto di Palermo a Falcone e Borsellino si sarebbe trasmessa un’immagine negativa; fosse stato per lui, forse l’avrebbe intitolato a Vittorio Mangano), il consigliere comunale di Trapani Giuseppe Ruggirello è accusato anche di corruzione e concussione. Dall’inchiesta emergerebbe che Ruggirello, oltre a godere dei “favori sessuali” (non so perché li chiamino così: di solito un favore si fa gratis) di ballerine russe con permesso di soggiorno falso che si esibivano in due night-club della città, avrebbe anche informato i proprietari dei ritrovi di accertamenti dell’Agenzia delle entrate e in cambio avrebbe chiesto anche voti.
Tutte personcine per bene, non c’è che dire, ma nell’elenco - in crescendo e a completare il catalogo delle tipologie criminali - non può mancare uno degli ultimi arrestati: un assassino. Anche se solo parente di un esponente politico. Vincenzo Bonfanti, l’uomo che qualche giorno fa a Palma di Montechiaro avrebbe ucciso con una decina di colpi di pistola Nicolò Amato, che aveva messo i lucchetti a una pizzeria di sua proprietà gestita dal congiunto moroso del primo cittadino. Quest’ultimo, Rosario Bonfanti, alle amministrative era sostenuto da una coalizione variegata di pezzi dell’Udc e del Pdl (mentre un altro pezzo di Pdl, insieme all’Mpa, sosteneva un altro candidato) riunita sotto un nome che è tutto un programma: “Svegliamoci risorgiamo con Lui Sicilia”. Così, Lui scritto maiuscolo. Con quel “risorgiamo” gli si devono essere intrecciate le idee.
Mandante di omicidi, ma per storie di mafia, era invece Salvatore Di Giacomo, ex segretario dell’Udeur e consigliere provinciale a Caltanissetta, che a Gela decideva l’affidamento degli appalti agli stiddari. Ci sarebbe proprio l’esponente politico arrestato nel febbraio scorso dietro il tentato omicidio di Nunzio Renato Mauro, dirigente del settore Lavori pubblici della cittadina nissena, “colpevole” di voler fare le cose rispettando la legge.
E così siamo arrivati al perverso intreccio fra criminalità organizzata, affari e politica che – come una nube tossica – avvelena la Sicilia dal più piccolo consiglio comunale fino al governo regionale.
Qui francamente la voglia di buttarla sul ridere ti passa, anche perché a permettere che questo governo regionale abitato da criminali (non solo politici) – come dimostrano inchieste giudiziarie e arresti recenti – possa sopravvivere e, anzi, primo responsabile morale della permanenza di un governo basato sui rapporti criminali e sulle clientele è quel partito che millanta la propria appartenenza al centrosinistra e che si è liberato dei valori morali e di quelle che dovrebbero essere le classi sociali di riferimento. E ha un bel dire, soltanto adesso, il segretario di quel partito – il Pd - in Sicilia, Giuseppe Lupo, che se Lombardo dovesse essere rinviato a giudizio loro si ritirerebbero dal governo. Ma che cosa devono aspettare ancora, di trovarlo con una carica di tritolo da piazzare sotto l’auto di un magistrato? Complici. Al mio paese, quelli che consentono a un governo di vivere sulla base di rapporti con la mafia e di clientele (traendone essi stessi indubbi benefici) sono soltanto complici, colpevoli in ugual misura. E questo temporeggiare non fa che aumentare le loro responsabilità e la loro chiamata in correo.
C’è bisogno di ricordarglielo? Sì, evidentemente sì. Raffaele Lombardo – del quale uno dei più appassionati sostenitori è l’onorevole Beppe Lumia, molto ex presidente della Commissione antimafia e molto ex comunista per avere calpestato i diritti dei lavoratori (il suo ex addetto stampa lo accusa di averlo pagato in nero e persino minacciato di licenziamento se avesse rivendicato ciò che gli spettava) – è indagato dalla procura di Catania, insieme al fratello Angelo, parlamentare nazionale dell’Mpa, di rapporti con la mafia. Indagini sostenute da quintali di carte, dossier, intercettazioni, dichiarazioni di pentiti e perfino ammissioni dello stesso Lombardo che – in spregio al ridicolo – ha detto di avere incontrato i boss effettivamente, ma solo per ragioni politiche. Cioè, appunto, non per preparare una carica di esplosivo da lasciare davanti al portone di un giudice, ma per avere voti e aumentare il suo potere assoluto.
Se i dirigenti del Pd siciliano non fossero troppo presi a rincorrere il potere, gli basterebbe dare una sbirciatina a quelle carte e scoprirebbero, per esempio, che il pentito Maurizio Avola – interrogato dalla procura catanese il 25 febbraio 2010 – ha riferito agli inquirenti di avere incontrato un paio di volte negli anni Novanta l’attuale presidente della regione a San Giovanni La Punta, nella villa dove il capomafia Benedetto Santapaola trascorreva la sua latitanza e di avere saputo da un altro boss che si trattava di un amico. Aggiungendo: “un amico che si incontra da Santapaola non è più un amico ma è una persona fidatissima no fidata”.
Non so se capiscono, non ne sono sicura, ma certamente si adeguano gli esponenti del Pd siciliano. E infatti dev’essere stato per farsi accettare ed entrare a pieno titolo a far parte della classe dirigente siciliana che Gaspare Vitrano, deputato regionale di Lupo e Bersani, si è fatto cogliere con le mani nella marmellata proprio mentre incassava una mazzetta. Arrestato due mesi fa. Di qualche giorno fa invece l’arresto per truffa di Riccardo Minardo, presidente della prima sezione Affari istituzionali dell’Assemblea regionale siciliana e uomo di punta del partito di Lombardo, l’Mpa, in provincia di Ragusa. Dove i suoi amici di partito si sono affrettati a mettere l’arresto in relazione alle prossime amministrative - insomma, tutta colpa dei magistrati che fanno le inchieste ad orologeria – mentre quelli del Pd subito hanno precisato che questo non mette in discussione le alleanze (e figurarsi!). Per restare nel ragusano, del lungo elenco di esponenti della destra siciliana – intendendo per destra non solo il Pdl, ma anche Mpa e Udc (e, estensivamente, secondo la logica aristotelica, se destra=Mpa e Mpa=Pd, Pd=destra) – fa parte Giuseppe Drago, prima dell’Udc proprio come Minardo e ora del Pid (il partito che ha accolto anche Fausto Fagone, il deputato regionale arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Iblis in cui è coinvolto Lombardo), che qualche anno fa, da presidente della Regione, fu accusato di essere scappato con la cassa un attimo prima di lasciare la carica. Insomma, forse un po’ più sofisticato del consigliere Riccardi, ma pur sempre ladro.
Ma, per restare ad oggi, dei 90 onorevoli (!) deputati dell’Ars, in base a una ricostruzione fatta qualche mese fa dalla rivista “S”, poco meno di un quarto ha avuto a che fare con la giustizia: 17 per l’esattezza, alcuni al momento solo indagati, altri condannati in primo grado. Troppi. E sarebbe troppo anche uno soltanto, dal momento che né i loro colleghi né quelli che li hanno votati si premurano di mandarli via a calci nel sedere.
Li ricordo in ordine alfabetico, per non far torto a nessuno, sottolineando di nuovo che per alcuni non c’è ancora stata una sentenza definitiva e precisando, però, che difficilmente la magistratura apre un’inchiesta perché non ha niente di meglio da fare:
Giuseppe Buzzanca (Pdl) – peculato d’uso e abuso d’atti d’ufficio.
Salvino Caputo (Pdl) – coinvolto nell’inchiesta sulle talpe alla Dda di Palermo.
Totò Cascio (Pid) – rapporti elettorali mafia/politica.
Michele Cimino (Forza del sud) – assegnazione di appalti pubblici a imprese mafiose.
Giovanni Cristaudo (ex Pdl ora gruppo misto) – coinvolto nell’inchiesta Iblis sui rapporti fra mafia e politica.
Fausto Fagone (Pid) - coinvolto nell’inchiesta Iblis sui rapporti fra mafia e politica.
Giuseppe Federico (Mpa) - rapporti elettorali mafia/politica.
Elio Galvagno (Pd) – falso in bilancio
Raffaele Lombardo (Mpa) – rapporti mafia/politica.
Rudy Maira (Pid) – appalti pubblici in cambio di soldi.
Fabio Mancuso (Pdl) – corruzione e mobbing.
Riccardo Minardo (Mpa) - truffa ai danni dello Stato e dell’Unione Europea.
Franco Mineo (Forza del sud) – rapporti con la mafia.
Giuseppe Picciolo (Pd) - simulazione di reato e calunnia aggravata (per capirci, quand’era consigliere comunale, invece di fare la battaglia politica in consiglio, sembra mandasse lettere anonime per denunciare illegalità nella gestione dei rifiuti).
Paolo Ruggirello (Mpa) - istigazione alla corruzione, minaccia a pubblico ufficiale e
oltraggio a un corpo politico amministrativo.
Riccardo Savona (Mpa) – mafia e appalti.
Salvatore Termine (Pd) – falso in bilancio.
Facendo un rapido calcolo, un terzo appartiene all’Mpa, il partito del “governatore” della Sicilia. Gli altri, comunque, sono più o meno in gran parte democristiani. Gli uni e gli altri accusati di reati gravissimi come avere rapporti con la mafia. Meno gravi le accuse nei confronti dei deputati del Pd. E per avere un ruolo da scassapagghiari continuano a mantenere in vita questo governo regionale?
Oggi, almeno oggi, ventinovesimo anniversario della morte del segretario regionale del Pci, Pio La Torre, ucciso dalla mafia, i dirigenti del Pd che sostengono un presidente della Regione che non disdegna i rapporti con i boss, avrebbero dovuto avere la decenza di astenersi da dichiarazioni e commemorazioni.
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