Ieri ho preferito tacere. Il nuovo, pesantissimo, attacco di Berlusconi contro i magistrati, accompagnato dai manifesti di cui il capo del governo è il mandante; il nuovo, gravissimo attacco agli insegnanti e alla scuola pubblica; quel suo ridurre l’omosessualità a barzelletta...meglio tacere, meglio non commentare, perché i sentimenti che ogni giorno di più mi suscitano le parole di quest’uomo mi avrebbero indotta a dire cose da Br, io che ho sempre pensato che i brigatisti fossero terroristi e che non bisognasse indulgere nei loro confronti – come molti negli anni Settanta – definendoli “compagni che sbagliano”. Ho preferito tacere, perché avrei detto – con Asor Rosa -: “chiamate i carabinieri”. E avrei aggiunto: “chiamate la neuro” e altre cose che non dirò, altrimenti mi arrestano, ma che bisognerebbe dire, perché quando si arriva al regime, non c’è altra strada.
E non posso non ricordare quando ci prendevano per pazzi, noi comunisti, quando dicevamo che si stava andando verso un regime. Cosa sono l’omofobia, il bavaglio alla stampa, la persecuzione degli insegnanti, i libri all’indice, l’ossessione di distruggere la magistratura, se non gli ingredienti essenziali di un regime? Adesso se ne sono accorti anche gli altri, ma intanto noi ci hanno messi fuori (dal Parlamento, dalla tv, dai giornali, dalla vita stessa), ma a lui hanno permesso di spingersi oltre e oltre e oltre, fino a un punto di non ritorno. Mentre ancora aspettiamo (temo invano) che il capo dello Stato e presidente del Csm faccia sentire la sua voce.
Oggi se c’è un brigatista, se c’è un eversore, si chiama Silvio Berlusconi e con lui i suoi servi, da quello che gli confeziona e gli offre su un piatto d’argento una riforma “epocale” della Giustizia utile solo a cancellare i suoi innumerevoli e raccapriccianti reati a quello che mette nero su bianco (bianco su rosso) e affigge sui muri la condanna a morte nei confronti dei magistrati: quel Roberto Lassini, candidato del Pdl alle amministrative di Milano, che (forse dietro lauto compenso) si è assunto la paternità dei manifesti che paragonano i giudici alle Br e che oggi dice di non aver avuto intenzione di offendere e che, insomma, si è trattato di una specie di “voce dal sen fuggita”. Eh, no, Lassini: uno può dire una cosa sconveniente quando parla a braccio, ma per ideare dei manifesti e farli affiggere ci vuole qualche giorno: bisogna ragionare sullo slogan, decidere il carattere e il corpo, il colore dello sfondo, andare in tipografia, stamparli, aspettare che si asciughino, chiamare gli attacchini. Non è una frase che scappa in un momento di rabbia: è un proclama politico, di cui Lassini è l’esecutore materiale e Berlusconi il mandante. E bene ha fatto il procuratore Bruti Liberati a ricordare subito che in procura a Milano le Br c’erano state, ma per uccidere i magistrati che credevano nello Stato; e bene ha fatto oggi Il Fatto a mettere le foto dei magistrati uccisi dal terrorismo rosso e nero. Ma hanno dimenticato di aggiungere tutte le foto di tutti i magistrati che credevano nello Stato uccisi da nord a sud (e soprattutto a sud) per aver combattuto la mafia che a Berlusconi ha fornito voti e protezione: terrorismo politico e terrorismo mafioso, non fa differenza.
E avrebbero fatto bene (ma non sarebbe bastato un giornale intero e nemmeno un’enciclopedia) a mettere i nomi e le foto di tutti quegli insegnanti delle scuole pubbliche che in questo Paese hanno svolto – loro sì – sempre “eroicamente” il loro lavoro, oltre che con passione, dedizione e senso del dovere, concetto ormai sconosciuto ai più. Insegnanti che ci hanno messo il cuore, per uno stipendio da fame, per dare un futuro dignitoso ai loro allievi.
E chiunque può testimoniare. Io potrei parlarvi della mia maestra delle elementari, una che aveva due lauree quando bastava solo un diploma. Secondo me era fascista (e io la odiavo quando dava le bacchettate sulle gambe alle mie compagne che non avevano avuto la fortuna di nascere in una famiglia in cui si padroneggiasse l’Italiano), ma le brillavano gli occhi quando insegnava. E potrei parlarvi della mia insegnante di Lettere del ginnasio che sprizzava passione per la sua professione e di quella di Greco del liceo che si emozionava leggendoci l’Antigone e persino del prof di Italiano che era asino ma ce la metteva tutta per essere all’altezza di noi liceali esigenti, anche se non bastava indossare un pullover a collo alto per essere come il professore di Storia dell’Arte grazie al quale, in occasione di una ricorrenza, ti ritrovavi a chiedere in regalo non un vestito, ma un proiettore per studiare la sua materia con l’ausilio delle diapositive. E potrei parlarvi di mia madre che per decenni, fino al suo ultimo giorno da insegnante, ha speso soldi in libri per migliorare le proprie conoscenze e condividerle con i suoi alunni e ogni sera prima di dormire “studiava” la lezione per l’indomani. Come se, dopo quarant’anni, uno le cose non le avesse già fradice in testa. E posso parlarvi di un mio amico insegnante che, dopo una giornata trascorsa fra lezioni in classe, corsi, viaggi da una scuola all’altra trascurando la famiglia pur di non farle mancare niente, conclude la sua serata – quand’anche fossero le due di notte – preparandosi la lezione per l’indomani, proprio come faceva mia madre. E alle loro aggiungerei le foto delle schiere di insegnanti giovani-non più giovani la cui unica stabilità consiste nella precarietà e che non smettono di amare il loro lavoro e di credere nella scuola pubblica e nello Stato, proprio come i magistrati uccisi dai terroristi e della mafia.
Questi sono gli eroi, non Vittorio Mangano, e queste sono le persone di cui non ci si può dimenticare. Quanto a Berlusconi e ai suoi servi, non saranno buoni nemmeno da morti, nemmeno come concime per le piante.
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