Qualche tempo fa ho sentito un selvaggio catanese...sì, lo so, è pleonastico - e nel compito in classe sarebbe segnato rosso e blu - come quando dici “ma però” o “fascio di merda” o “maschio cretino”....va bene è pleonastico, ma ci sta...insomma, ho sentito questo selvaggio catanese definire Gheddafi, con occhio pieno di rancore, “bbiduino”. Dunque, il problema di Gheddafi non sarebbe quello di essere un dittatore sanguinario che opprime il proprio popolo (e, in quanto tale, amico dell’efficientissimo signor ghe pensi mi, Silvio Berlusconi, che non gli fa la guerra – comunque, sempre sbagliata – non per improvvisa sensibilità pacifista, ma certamente per difendere chissà quali interessi economici personali), ma un beduino, appunto. Che nel particolare vocabolario del suddetto catanese non indica un abitante del deserto, ma un selvaggio (come dire?, il bue che dà del cornuto all’asino) perché pratica una religione diversa dalla sua e, in quanto tale, sbagliata; perché parla una lingua diversa dalla sua e, in quanto tale, sbagliata; perchè porta abiti diversi dai suoi (ricordate Montesquieu e le sue Lettres persanes?) e, in quanto tali, sbagliati; perché sottomette le donne, ma non tanto quanto vorrebbe fare – se non rischiasse di essere arrestato – il beduino etneo. Inglobando in questo termine a cui dà valenza spregiativa chiunque abbia un colore di pelle diverso dal suo (e se anche praticasse la sua stessa religione) e gli “invasori” che secondo la vulgata vengono a toglierci il lavoro, migranti – come lo erano i suoi avi – venuti a trovare la morte mentre cercavano la vita.
Che poi, siccome ha superato gli ottant’anni e non ha mai superato gli esami di terza media (corso di studi seguito andando a scuola dai preti, che gli hanno “inculcato” questi bei valori di amore per il prossimo), può essere in fondo anche compatito perché vive nel ricordo della sua infanzia e dunque nel mito di un regime maschio e colonizzatore come tutti i catanesi maschi di una certa età (gli allora giovani sbeffeggiati da Vitaliano Brancati) vorrebbero essere.
Il fatto è che, qualche settimana fa, fermandomi a prendere un caffè ad un chiosco di bibite – dove non andrò mai più -, ho sentito i due giovani gestori, poco più che ventenni (e i vent’anni dovrebbero essere quelli dell’elasticità mentale e dell’apertura al mondo) dichiarare senza vergogna e all’unisono, mentre un gr dava notizia di centinaia di disperati finiti in fondo al mare: “io gli immigrati li odio”.
Così come, mentre facevo la spesa al mercato di Catania, ho sentito una gentildonna indigena, involontariamente urtata da uno straniero, vomitare: “Stu cinisi di mmerda mi stava fascennu cascari”, questo cinese di merda mi stava facendo cadere. Dimentica, la gentildonna, dei suoi conterranei di merda che sistematicamente e con grande generosità ti elargiscono urti, spintoni e sgambetti se hai la sventura di condividere con loro lo stesso marciapiedi.
Domani tutti questi saranno a messa a celebrare uno dei riti dell’ipocrisia, pronunciando parole come solidarietà e fratellanza.
Io dopodomani, il 25 aprile, sarò in piazza per ribadire i valori della Resistenza, per difendere la Costituzione, per ricordare chi è morto per rendere questo Paese libero dal fascismo e civile. E sarò in piazza anche per i “beduini”, per liberarci – tutti – dal nuovo fascismo, dall’ignoranza, dalla cattiveria e da un governo di selvaggi: solo ultimo in ordine di tempo, il sottosegretario Giovanardi, che non riconosce come famiglia una coppia gay e perseguita gli omosessuali proprio come fece il fascismo, ma non sembra minimamente preoccuparsi delle performance erotiche del vecchio porco a capo del governo.
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