lunedì 11 febbraio 2013

Voto utilitaristico

Fra le tante persone incontrate in campagna elettorale - oltre a quelle di destra che definiscono sinistra il Pd (e io, scusate, vorrei chiedere un risarcimento danni, perché o sono loro di sinistra o sono io di sinistra: tutt'e due non è possibile) e a quelle che dicono di non occuparsi di politica e cioè della vita - rilevo una biforcazione quasi schizofrenica fra gli elettori del partito di Bersani. Da un lato ci sono quanti in buona fede ("la base", convinta ancora di votare per il partito erede del Pci) si piegano alla storiella del voto utile: l'ha detto il partito, per loro va bene così. Soffrono, perché glielo leggi in faccia che soffrono e che dell'alleanza con Monti farebbero volentieri a meno, ma obbediscono. Te lo dicono con gli occhi bassi, vergognandosi, ma obbediscono. Poi c'è tutta una schiera di questuanti abituati a non fare la fila all'ufficio comunale, a farsi togliere la multa, a sostenere esami universitari a porte chiuse, a ottenere consulenze a prescindere dalle competenze, a trovare lavoro per "amicizia", ad aggiudicarsi gare d'appalto: clientes per vocazione che per sostenere la bontà del loro voto utile ti aggrediscono e tirano fuori tutta la loro arroganza, convinti come sono di avere diritto ai privilegi. E ancora una volta il problema sta tutto nel grande imbroglio sul significato delle parole inaugurato da Berlusconi trasformando i magistrati in criminali e gli evasori in persone per bene (per non parlare degli eroi di Dell'Utri) e assimilato da una classe politica impastata di berlusconismo, a destra come nel centro-centro che si millanta sinistra. In questo caso, più che di voto utile bisognerebbe parlare di voto utilitaristico. Ma questo richiederebbe una buona dose di onestà intellettuale.

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