martedì 8 febbraio 2011

Buonasera, sono l'arcivescovo

Più di una decina di anni fa, volendo già da molto tempo sbattezzarmi, mandai alla curia di Catania una lettera raccomandata in cui appunto chiedevo di essere cancellata dalla comunità cattolica (a riprova, se ce ne fosse bisogno, che non c’è niente di spirituale in tutto ciò, se puoi cassarlo con una procedura burocratica). Circa una settimana dopo, squillò il telefono: “Buonasera, sono l’arcivescovo”.
Un amico, certamente, uno dei tanti che sanno quanto il sentir parlare di gerarchie ecclesiastiche mi provochi l’orticaria: “Smettila, coglione!” No, per fortuna non lo dissi e rimasi ancora per qualche istante in apnea: quella voce non corrispondeva a nessuno dei miei amici…stavo per dirlo, sarebbero bastati pochi secondi in meno di riflessione.
In effetti era lui, il capo dei preti, ma qualunque persona di buon senso l’avrebbe mandato affanculo e non per un conflitto insanabile fra questioni teologiche e laiche: semplicemente perché non è che capiti tutti i giorni che ti telefoni uno e ti dica “sono il sindaco, sono l’arcivescovo, sono il prefetto”. E se non pensi a uno scherzo, sei tu che non sei normale.
Ora, voglio dire, va bene che io non sono Berlusconi (e meno male, altrimenti mi farei schifo da sola) e che è più facile per lui entrare in contatto con persone che contano (anche se l’unica cosa che contano è il denaro da dare alle zoccole e agli scilipoti, che poi è lo stesso), ma come cazzo puoi pensare che qualcuno creda alla balla della nipote di Mubarak? O ci hai creduto tu, e allora sei un coglione; oppure lei ha provato a fartelo credere e sei un coglione lo stesso. Perché chiunque altro (chiunque altro che non ne avesse abusato, però), le avrebbe dato cinquanta lire e l’avrebbe mandata via: ragazzina, vai a comprarti le caramelle. Oppure hai pensato che gli Italiani potessero crederci e sei per la terza volta un coglione: perché una balla così non puoi darla a bere nemmeno ai bambini. Agli zerbini sì: basta imbottirli di soldi e garantirgli un posto in Parlamento.

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