martedì 27 luglio 2010

Comunisti: identità a macchia di leopardo

Riporto un mio articolo, pubblicato sul numero di giugno di Botteghe oscure (periodico politico realizzato nel trapanese), che voleva essere un piccolissimo contributo al dibattito interno alla Federazione della Sinistra.

In una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti di Rifondazione comunista che a parole dicono sì alla Federazione della Sinistra, ma in realtà solo a sentirne parlare gli viene l’orticaria. E in una qualunque città di un qualsiasi punto d’Italia ci sono dei piccoli dirigenti dei Comunisti italiani che si riempiono di bolle su tutto il corpo ogni volta che sentono parlare di FdS. Per fortuna a bilanciarli ci sono circoli e sezioni che si trovano “naturalmente” a condividere le attività o giovani che si giurano amore (politico) eterno.
Ma il risultato non cambia. O, meglio, non cambia il refrain che da anni accompagna l’esistenza della sinistra e dei comunisti: ci radichiamo sul territorio a macchia di leopardo, vinciamo (vincevamo) a macchia di leopardo, e ora persino ci unifichiamo (o litighiamo) a macchia di leopardo.
A sentire qualche dirigente che non rinuncia a infondere ottimismo nella base negando persino l’evidenza, la situazione va a gonfie vele o poco ci manca, tanto che entro l’anno si dovrebbe andare a congresso. E anche qui, a ben guardare, c’è qualcosa che non quadra: perché in realtà prima si era parlato di ottobre come termine ultimo e questo non è che l’ennesimo slittamento e sintomo di difficoltà di un processo che sembra andare al passo del gambero. E dal quale comunque – sottolinea qualcuno – ormai è impensabile tornare indietro anche perché dove la Federazione è una realtà, e lo è spesso per la determinazione dei militanti di base che si sono messi a fare le cose insieme, i risultati si vedono. Ma, appunto, a macchia di leopardo. Perché poi c’è sempre qualche scadenza elettorale che avvelena i rapporti e costringe a fare i conti con le urgenze o, peggio, può dare la sensazione di trovarsi di fronte a un cartello elettorale che si scioglierà come neve al sole.
La verità, oltre che la ragione dello smarrimento che sembra avvolgere i militanti dei due partiti, forse sta nel vedere i dirigenti chiusi nelle stanze a stilare organigrammi per non ammettere la difficoltà di trovare argomenti dei quali parlare con quei ceti deboli di cui la sinistra dovrebbe essere naturale rappresentante. Riunioni estenuanti, nelle quali ogni parola viene passata al setaccio a riprova di antichi rancori e diffidenze non ancora superati, tanto da indurre qualche dirigente nazionale a dichiarare in confidenza di averne fin sopra i capelli.
E certo la situazione economica non aiuta: dalla Val d’Aosta alla Sicilia, dove c’è la volontà e un minimo di disponibilità pecuniaria, la Federazione è già realtà con sedi comuni, portavoce comuni, iniziative comuni. Piccoli sprazzi di luce in una realtà che rispecchia quella dei partiti nazionali, costretti persino a licenziare o a mettere in cassa integrazione i dipendenti e a chiudere o ridimensionare i giornali: difficoltà ulteriore quella di farsi sentire, aggiunta al silenzio totale dei media che ignorano sistematicamente e scientificamente la presenza di quella che potrebbe essere l’unica voce di vera opposizione in un quadro in cui il Pd balbetta sulla presenza dei nostri militari in Afghanistan e l’IdV – partito/Dracula che si alimenta delle sconfitte elettorali della sinistra – dà il via libera al federalismo demaniale facendo un favore ai mafiosi. Per non parlare della realtà siciliana dove la FdS – fatte salve le aree tradizionalmente “rosse”, come le province di Enna e Siracusa e qualche enclave a vocazione bracciantile e pur con la buona volontà delle segreterie regionali dei partiti – sembra non riuscire a trovare una strada, avendo perduto da un pezzo i voti dell’elettorato popolare e adesso persino quel po’ di elettorato di opinione oggi più comodamente e opportunisticamente rivolto verso un Partito democratico con il quale è impossibile interloquire, votato com’è all’inciucismo ad ogni costo. Persino a costo di appoggiare il governo Lombardo e non avere un minuto di esitazione nemmeno dopo che il presidente della Regione è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura di Catania per concorso esterno in associazione mafiosa.
Sarebbe buon senso, in una realtà nazionale che sta riducendo sempre di più gli spazi di democrazia e in una realtà locale in cui imperano clientelismo e malaffare, mettere da parte i personalismi, i protagonismi e le patetiche ambizioni di potere, e ricordarsi che i comunisti esistono non per assicurarsi qualche poltrona o qualche strapuntino, ma per difendere i lavoratori. Eppure così non è e non resta che quel senso di assenza di identità, “smarrimento, confusione, perdita di senso della politica” di cui si parla in una lettera scritta da un gruppo di militanti di Rifondazione comunista (da assumere in toto, se non fosse che sembra di cogliervi una tentazione di riavvolgere il nastro e tornare allo status quo ante) in cui si sottolinea la “continua emorragia di voti e di consensi che ad ogni elezione misuriamo, quasi fossimo ragionieri a cui non tornano i conti” e si respinge la pratica – errore reiterato - di nascondere e minimizzare le sconfitte: “E’ necessario chiamare le cose con il proprio nome”, vi si legge e viene in mente La Fontaine e i suoi animali malati di peste: “un male che diffonde il terrore...la peste, giacché bisogna chiamarla con il suo nome”. Forse il punto è proprio lì: cominciare a chiamare il male con il suo nome per trovare un rimedio.

Nessun commento:

Posta un commento