sabato 4 agosto 2012
L'assessore in jeans
Io mi sentivo come Alice nel paese delle meraviglie.
Partivo da Catania dove la sera non si poteva uscire e le donne soprattutto non potevano uscire (proprio come adesso che la città è in mano a una banda di selvaggi), andavo a trovare mia sorella che abitava a Roma e mi sembrava di vivere in un altro mondo: un mondo dove era bello stare in giro la notte, incontrarsi, riempirsi gli occhi dei colori di tutti i paesi, un mondo dove la cultura era per tutti, era lì, te la potevi prendere, annusarla, impacchettartela e portartela a casa (il tuo cervello) come un pezzo di torta troppo buona per finirla subito, da gustare e centellinare facendola durare il più possibile. Prima di tornare nella città morta.
Quel mondo che sembrava una fiaba lo aveva inventato di sana piana un assessore comunale alla Cultura del Pci, il giovane assessore in jeans (altro che la muffa di Renzi!) che si sedeva a terra incrociando le gambe e anche per quel gesto così "normale" rappresentava la speranza di un cambiamento.
Molti anni dopo anche Catania, Palermo, città piccole e grandi del nord e del sud dove ci fossero giunte di centrosinistra, avrebbero avuto le loro estati piene di musica, spettacoli, film, libri, cultura: "l'effimero" che ti dà la concreta consapevolezza di te. E avrebbero imparato ad amare le loro città. Alla fine anche quelli di destra si sono impossessati della sua idea e oggi non c'è comune d'Italia di qualunque dimensione in cui ciascun cittadino - l'operaio, il pensionato, il disoccupato e la casalinga, quelli che soldi non ne hanno nemmeno per mangiare e figurarsi per comprare un libro o vedere uno spettacolo - non abbia avuto almeno per un'estate la sua estate culturale.
Oggi Renato Nicolini se n'è andato ed è come se avesse portato via con sé i miei vent'anni.
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