E' come se la radio francese (la tv non era così
diffusa) nel 1954 avesse invitato in studio il giovane scrittore e compositore
Boris Vian per fargli presentare la sua ultima canzone e gli avesse chiesto di
cantare solo i primi due versi:
Monsieur le Président
Je vous fais une lettre.
Punto. Lasciando il resto alla libera immaginazione
degli ascoltatori. Che, a parte pochi eletti, avrebbero potuto pensare che si
trattasse della lettera di un tifoso al presidente di una squadra di calcio, di
un azionista al presidente del consiglio di amministrazione, di un condomino al
presidente dell'assemblea condominiale. Nemmeno sfiorati dall'idea che il
destinatario fosse il presidente della Repubblica e che quella lettera
dichiarasse guerra alla guerra.
Un po' come ha
fatto ieri Fabio Fazio. Non ne poteva fare a meno, perché probabilmente si
trattava di una marchetta, ma poteva "limitare il danno" (forse la
casa editrice ha pagato poco) e così ha invitato in trasmissione Nino Di Matteo
proprio nel giorno del silenzio elettorale, quando cioè non si possono fare i
nomi dei politici. E lo ha avvertito: lo ha avvertito prima, dietro le quinte,
e ha continuato ad avvertirlo durante tutta la breve durata dell'incontro,
costringendo il magistrato più odiato dalla mafia (e dallo Stato) ad usare un cifrario
a metà fra la lingua dei segni e la trascrizione di un verbale di
interrogatorio piena di omissis.
Il fatto è che
Di Matteo era lì a presentare il suo ultimo libro (scritto con Salvo
Palazzolo), Collusi, dove i collusi con la mafia sono - oltre ad esponenti vari
del mondo delle istituzioni - appunto e prevalentemente uomini politici.
Ma ieri quei
nomi non si potevano fare ed è come se lo strapagato Fazio, incollato alla
poltrona con l'Attak, lo avesse invitato per fargli dire cosa c'è scritto nella
seconda pagina dopo la copertina: proprietà letteraria riservata, ISBN, prima
edizione, eccetera. Poi, che oltre la quarta pagina si parlasse di rapporti fra
mafia e politica o delle imprese di un alpinista, per Fazio era indifferente.
Anzi, avrebbe preferito l'alpinista piuttosto che agitarsi sulla sedia come se
avesse i vermi: nel timore che Di Matteo svelasse una verità che in campagna
elettorale è coperta da omissis (non sia mai che gli elettori lo scoprono e
votano per le persone per bene) e cioè che spesso e ancora adesso i politici
sono collusi con i mafiosi. E che per questo la democrazia va a puttane.
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