domenica 7 dicembre 2014

Quindici


Una rottura di cazzo. Diciamocelo: il gioco del Quindici di quando eravamo bambini, se uno non aveva pazienza (e io non ne ho mai avuta), era una rottura di cazzo. Stavi lì ore a cercare di mettere ogni numero al suo posto, di trovare la quadratura del quadrato, e ti veniva voglia di lanciarlo quanto più lontano possibile.
Poi ho cominciato a fare politica. E negli anni ho capito che il Quindici ne era la quintessenza. Rimpasti di giunta, messe a punto di governo, congressi di partito, la storia è sempre la stessa: ci sono quei quindici che vanno piazzati, cambiano posto, ma restano sempre dentro il quadrato. Smuovi i numeretti e uno che era sindaco te lo ritrovi capo del governo, coglione ma capo del governo: casella uno; l'otto giù il tre su e alla casella cinque - segretario del partito - trovi un altro che era stato consigliere comunale; tredici a destra dieci in alto a sinistra e al nove spunta un assessore; sposti il sette e sale il quattro e il trombato elettorale è piazzato in un cda di qualcosa, foss'anche la bocciofila.
Così all'infinito, a muoversi dentro un quadrato come un leone in gabbia, a fare le vasche come in una piscina pensando che sia l'oceano. Sempre con gli stessi numeri e le stesse facce che cambiano soltanto posto e che vorresti lanciare il più lontano possibile.
Il problema è che a considerarla una rottura di cazzo siamo rimasti soltanto in quindici. Tutti gli altri ci sguazzano, prigionieri della loro stessa piscina, illudendosi di essere liberi come pesci nell'oceano.

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