Zerbino o non zerbino? Non l'ho
visto, non vedo mai Porta a porta. Quindi non ho visto l'intervista al figlio
di Totò Riina. Il tono di voce pretesco di Bruno Vespa, strisciante e scivoloso
da serpe velenosa, mi dà la nausea fin dalla prima sillaba (pensate: mi danno
sui nervi persino gli imitatori che ne rifanno il verso) ma sento dire che gli
ha fatto alcune domande, dunque che per una volta avrebbe fatto il giornalista.
Anche se ne dubito.
Appurato questo (e per niente
sciolto il dubbio), si pone la seconda questione: scoop o non scoop? Domanda
obbligata, dal momento che alcuni di quelli (giornalisti compresi) che lo
difendono dicendo che ha fatto il suo mestiere perché i giornalisti devono
intervistare anche i mostri e fanno gli esempi delle interviste di Biagi o
Santoro, aggiungono - come nota di merito - che Vespa ha fatto lo scoop.
Scusate, ma dov'è lo scoop? Scoop
sarebbe stato se il figlio del porco mafioso avesse detto che rinnegava suo
padre e Vespa fosse stato il primo e l'unico a scoprirlo; se avesse rivelato i
dettagli di un delitto finora sconosciuto al quale lui stesso aveva partecipato
e Vespa fosse stato il primo e l'unico a scoprirlo; se avesse svelato di non
essere figlio di Totò Riina e quindi che suo padre era cornuto - grande
vergogna per un "masculu" siculo e pure mafioso - e Vespa fosse stato
il primo e l'unico a scoprirlo; se avesse fatto coming out raccontando di convivere
da anni con il suo compagno (onta da lavare con il sangue per quelle famiglie
merdose che parlano di onore e rispetto: guarda caso gli stessi termini che usa
la chiesa cattolica, da sempre - salvo rarissimi casi - alleata e complice
della mafia) e Vespa fosse stato il primo e l'unico a scoprirlo. Eccetera.
Ci hanno spiegato che scoop è la
pubblicazione di una notizia importante che nessun altro ha. Qui la notizia è
che oggi esce il libro di Salvo Riina e che ieri Bruno Vespa glielo ha
presentato. Per sollevare un vespaio che facesse schizzare le vendite fin dal
primo giorno. Dunque, più che di scoop parlerei di marchettone, di pubblicità.
Che, nella sua stessa essenza, implica l'essere pagato. Da chi? A chi? Alla
Rai? A Vespa direttamente? Probabilmente resterà fra i misteri d'Italia, come
la strage di piazza Fontana e quella di piazza della Loggia.
Così come sembra un mistero il
motivo per cui una casa editrice della provincia di Treviso, che non a caso si
chiama ANordEst, fra i tanti autori del profondo sudovest ha scelto proprio il
signor Giuseppe Salvatore Riina, condannato a otto anni e dieci mesi di
reclusione (pena già scontata) per associazione mafiosa, figlio adorante della
montagna di merda vivente che porta il nome di Totò Riina ed egli stesso
montagna di merda. Ecco, probabilmente se si fosse chiamato Peppino Impastato,
se avesse rinnegato il proprio padre mafioso, se avesse detto (e fatto) che la
mafia è una montagna di merda nessuno avrebbe pubblicato un suo libro. Ecco, la
notizia è questa: che la ragione per cui un editore pubblica il libro di un
mafioso è che guadagnerà un sacco di soldi. Ma è una non notizia, come il cane
che morde l'uomo. Come è una non notizia che Vespa faccia qualcosa senza avere
un lucroso secondo fine.
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