lunedì 1 febbraio 2016

Servizio pubblico


Io sono nata lo stesso anno di Carosello e cresciuta in un'epoca in cui di tutto ciò che apparteneva alla sfera sessuale non si parlava: le mestruazioni erano "quelle cose", fare sesso ma anche semplicemente baciarsi o toccarsi era una vergogna tale da negare a questi gesti un nome, accomunandoli in un unico indistinto appellativo dispregiativo: "certe cose".
Cose di cui vergognarsi, insomma, e la Rai di Monica Maggioni, come se cinquant'anni fossero passati invano, se n'è vergognata tanto da prendere la ridicola decisione - dopo avere anticipato il capodanno - di posticipare la parte di Presa diretta che di "certe cose" ardiva parlare, costringendo Riccardo Iacona a invertire l'ordine dei fattori e mandare in onda per primo il servizio sulla privatizzazione dell'acqua pubblica. Questa sì, una vera oscenità (la privatizzazione, non il servizio).
Fascia protetta la chiamano quella fascia oraria durante la quale non sta bene che i bambini vedano "certe cose" mentre quasi nessuno si preoccupa di proteggerli da preti pedofili, da padri violenti e violentatori, da trasmissioni che insegnano alle femminucce a diventare cose e ai maschietti a diventare proprietari di quelle cose, da adolescenti che prevaricano coetanei. Ovviamente ho smadonnato e smaggionato. Più elegantemente di me lo hanno fatto prima Fazio e la Littizzetto, usando l'arma dell'ironia, e poi Iacona che, all'inizio della trasmissione, ha manifestato apertamente, in maniera ferma e con il suo consueto garbo, il proprio dissenso e disappunto.
Poi però me ne sono andata a dormire, perché a me Carosello mi ha segnato la vita e molto oltre non vado. L'ho vista oggi la trasmissione: un servizio giornalistico serio come solo Iacona e pochi altri ormai sanno fare, documentato, che ha riportato opinioni diverse e ha fornito dati. Servizio pubblico. Quello che invocava pochi mesi fa a parole, in un'intervista a Repubblica, la neoeletta presidente Maggioni che ieri il servizio pubblico lo ha relegato alla terza serata, quasi all'orario dei film porno. Come se fosse una cosa indecente.
Mi è venuto in mente "Processo per stupro", mandato in onda dalla Rai nel 1979, qualche anno dopo avere sperimentato e quindi adottato definitivamente il colore: un documentario in bianco e nero, sollecitato dalle femministe, che fece conoscere agli italiani la violenza contro le donne. Anche in quel caso inizialmente la trasmissione fu programmata in seconda serata, alle 22, e fu seguita da tre milioni di spettatori. Ma ci furono le richieste di repliche e qualche mese dopo il documentario fu ritrasmesso in prima serata a beneficio di nove milioni di spettatori. Come è giusto che sia, se si vuole davvero fare servizio pubblico e non essere vocazionalmente embedded.

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