lunedì 8 novembre 2010

Dei delitti e delle pene, di Nino Mandalà

La cosa curiosa è che vai sul motore di ricerca, gli dai come chiave “nino mandalà+wikipedia”, perché vorresti avere le notizie in maniera quanto più asettica possibile, ma il link che ti spunta non si intitola Nino Mandalà: si intitola Renato Schifani.
Poi, dentro, ci trovi il nome del capocosca di Villabate, la sua fedeltà a Bernardo Provenzano, l’essere stato il fondatore di uno dei primi club di Forza Italia a Palermo e i rapporti societari con il presidente del Senato: ma quello che comanda nel titolo è il nome di Schifani, come se l’uno fosse lo pseudonimo o il nome d’arte dell’altro.
Nom de plume si direbbe se si parlasse di uno scrittore. E in effetti Mandalà da qualche tempo si è messo a scrivere: come molti ha un blog e da lì diffonde il suo verbo.
Per esempio a proposito del 41 bis, l’articolo della legge sull’ordinamento penitenziario che prevede il carcere duro per i mafiosi.
Prima di cominciare a scrivere, l’amico di Schifani dà le sue credenziali e ci spiega di essere un’autorità in materia per emettere subito dopo la sua autorevole sentenza: "Ho una discreta competenza in proposito e posso dire che uomini che hanno vissuto in quelle condizioni sono stati cambiati dalla sofferenza, istupiditi da consuetudini che si ripetono per anni ininterrottamente sempre uguali, sono diventati i malconci residui del contesto originario, non saprebbero neanche leggere la realtà esterna che si è nel frattempo determinata".
Doverosamente, prima di dire la mia, faccio anch’io due premesse: 1) non ho competenze giuridiche e quindi non scendo nel dettaglio dell’efficacia della misura carceraria o della sua crudeltà; 2) in linea di massima non sono una forcaiola e – con la competenza minima di chi lo ha studiato in letteratura italiana da minore e non in quanto giurista – avrei una certa propensione a sentirmi seguace di Cesare Beccaria.
Detto questo, mio caro (si fa per dire) signor mafioso di merda, come pensa che si siano sentiti quelli che a Villabate e dintorni, per esempio, cercando un lavoro, sapevano di doversi sottomettere a voi per essere assunti nel centro commerciale che avreste voluto costruire a suon di mazzette, modifiche irregolari al piano regolatore e minacce?
Come pensa che si siano sentiti in questi anni commercianti, imprenditori e persino gestori di cinema, costretti dalla sua cosca mensilmente a pagare il pizzo?
Come pensa che si senta un’intera regione, il cui sviluppo è soffocato dalla presenza mafiosa sul territorio e nelle istituzioni?
Come pensa che sia sentito un bambino di 12 anni tenuto prigioniero in un maneggio proprio nel suo paese e poi sciolto nell’acido per punire il padre pentito?
Glielo dico io, usando le sue stesse parole: tutti “sono stati cambiati dalla sofferenza, istupiditi da consuetudini che si ripetono per anni ininterrottamente sempre uguali, sono diventati i malconci residui del contesto originario, non saprebbero neanche leggere la realtà esterna che si è nel frattempo determinata".
Zombie, siamo diventati tutti zombie in Sicilia, perché la mafia è dappertutto e ci stiamo convincendo che sia l’ordine naturale delle cose.
E allora, caro (si fa per dire) signor mafioso di merda, le comunico che me ne fotto delle sofferenze inflitte ai mafiosi dal 41 bis e le rivolgo un invito: la smetta di fare la vittima e l’avvocato difensore dei poveri mafiosi torturati e se ne vada affanculo. Con i suoi complici che stanno a Villabate, con quelli che stanno a Palermo e con quelli fungibili a lei che stanno a Roma.

Nessun commento:

Posta un commento