domenica 29 giugno 2014

Il gioco del silenzio


Alla fine di un'ora, durante la quale perfino il respiro è rimasto in silenzio, hai la sensazione di non avere mai parlato e di non sapere nemmeno come si fa. E dire che fino a pochi minuti prima avresti voluto esclamare: "Che meraviglia! E' bellissimo!" o il tuo consueto "Minchia, che spettacolo!"
Adesso invece non riesci ad articolare, a riprendere il flusso naturale delle parole. Silenzio. Siamo stati in silenzio per un'ora. Meglio: siamo stati ad ascoltare il silenzio per un'ora.
Il silenzio e tutti i suoi rumori. Il canto degli uccelli, lo scalpiccio delle scarpe sul "brecciolino", un fischio umano, passi timidi sul terreno, passi pesanti in giù per la scalinata di marmo, respiro affannoso nella scala a chiocciola, un battito di mani nella chiesa enorme e vuota come un deserto dentro cui senti persino lo spostamento delle onde sonore che propagano da quel battito di mani. E poi da fuori - lontani - un allarme, una sirena, un motorino smarmittato che ti ammoniscono: no, non puoi far finta che il mondo sia questo qui dentro e non quello rumoroso e molesto di là fuori. Però non sarebbe male ogni tanto.
Silenzio, e senti lo scrocchio di una foglia secca sotto una scarpa. Qualcuno imbriglia un colpo di tosse, c'è una porta che se ne frega del tuo silenzio e cigola, un braccio che si muove in cerchio ad elogiare l'incanto di un paesaggio in mancanza di parole.
E' Soundwalk fra il Monastero dei Benedettini e la chiesa di San Nicola a Catania. E' il rumore dei pensieri mentre percorri gli interminabili corridoi del convento. E' il contrasto fra le immagini che hanno popolato quei corridoi: la meditazione dei monaci, il vociare degli studenti adesso che è università e prima ancora, quando era un istituto tecnico. Da un vetro spesso vedi le fronde degli alberi smosse dal vento; si intuisce che il vento sta fischiando dentro le foglie, ma non si sente: come se anche lui stesse obbedendo a questo gioco del silenzio
E d'un tratto, intorno alla fontana senz'acqua, silenziosa, le figure - i protagonisti del Soundwalk - mettono in scena una rappresentazione teatrale: la rappresentazione teatrale del silenzio. Come manichini, si muovono in maniera organicamente scomposta, attraversano l'area in direzioni diverse, guardano cose diverse, ma uguale è il modo di muoversi, quello di chi si trova in una dimensione sacra a cui si deve rispetto: un luogo dove si incrociano il silenzio e il rumore dei pensieri. Come quando andavi in campagna dai nonni e però alla lunga ti facevi due palle così, o come quando vai all'alba su una spiaggia di ciottoli e sei tu da sola in compagnia dei tuoi pensieri, del minuetto delle onde sui sassi e della risata dei gabbiani.
Per singolare coincidenza, nelle stesse ore in via Etnea e nelle strade vicine è mancata a lungo la luce: niente musicaccia da discoteca nei negozi per teen-agers e niente aria condizionata. E tutti in strada con espressione inebetita, come se stessero ascoltando un silenzio a cui siamo ormai disabituati.

P.S.: Grazie al Soundscape Reasearch Group per avere organizzato la passeggiata sonora e a Stefano Zorzanello per avermi invitata.

sabato 21 giugno 2014

Io lo pijerei a schiaff

E dunque, visto che è la settimana mondiale del luogo comune, anche il prefetto di Perugia, tal Antonio Reppucci, uno che parla in dialetto napoletano durante un incontro pubblico, ha deciso di dare il suo contributo, rilanciando rispetto all'ormai consueto "si comincia con le droghe leggere e si arriva all'eroina". Roba da far impallidire persino Giovanardi: per il presunto prefetto - che, in base al dizionario dei sinonimi, significa pure educatore -, se non ho capito male, il declino verso la deboscia non partirebbe da una canna ma addirittura da una bottiglia. Dunque, rivedete i vostri luoghi comuni: si comincia con una birra e si arriva all'eroina.
Insomma il rappresentante del governo nel capoluogo umbro a un certo punto si è lasciato andare a una sceneggiata napoletana attaccando le famiglie, ma soprattutto le madri che - in base alla sua inconfutabile opinione - se un figlio si droga hanno fallito e dovrebbero solo suicidarsi. Aggiungendo che le forze di polizia "non possono fa' da badant e tutore perché la famiglia arretra" e che il "cancro" è proprio nelle famiglie e che "se uno mette al mondo dei figli deve sta pur attent, dopo mezzanott, tutti questi giovani con le bottiglie in mano... io li pijerei a schiaff".
Ma ce l'ha un figlio il prefetto di Perugia? Ce l'ha una famiglia? Ce l'ha un'idea di quante ansie, preoccupazioni, dubbi, timori corrodano senza tregua quotidianamente chi ha un figlio? Lo sa quanto può essere difficile leggere dentro un figlio? E perché ce l'ha tanto con le madri? Cosa gli ha fatto sua madre da bambino? E ancora, gliel'hanno spiegato al prefetto di Perugia che ci sono madri (ma anche padri: non è che si fanno una scopata e poi sono esonerati dall'occuparsi almeno per vent'anni delle "conseguenze" di quella scopata) il cui livello culturale è sufficiente a interpretare i malesseri dei figli e altre che - non per colpa loro - non hanno potuto studiare? Cosa vogliamo fare, gli vogliamo chiudere le trombe?
Nell'attesa della sterilizzazione di massa, mi permetto di dare un consiglio al governo sui provvedimenti da prendere nei confronti del suo rappresentante in territorio umbro: io lo pijerei a schiaff. E pure a calci in culo.

lunedì 16 giugno 2014

Saranno stati i rom


E' sempre lo stesso copione, carico di ipocrisia: il marito che scopre il delitto e lo denuncia in lacrime, i vicini pronti a giurare che erano una bella coppia, unita e felice, e per di più non avevano problemi economici, una bella casa con giardino subito giornalisticamente rinominata "la villetta degli orrori", il sindaco che finge familiarità snocciolando una serie di dati anagrafici a cazzo (tanto, chi li controlla?), l'immancabile giornalista zerbino che intervista l'immancabile parroco a suggello della santità di coppia: "Venivano sempre in parrocchia".
Si potrebbe chiudere qui, no? Saranno stati gli immigrati, saranno stati i drogati, saranno stati i meridionali. Si indaga a 360°. E alla fine, come quasi sempre, i sospetti si concentrano sul marito. Che, se i sospetti saranno confermati, avrebbe avuto la lucidità mentale di pianificare tutto, di crearsi un alibi. E quale alibi migliore della partita dei mondiali? Chi dubiterebbe che un maschio italico rinunci a vedere la partita con gli amici, sia pure per ammazzare moglie e figli? Come a Motta Visconti. Indagini in corso, come da copione. Compagni di tifo che confermano la sua presenza davanti alla tv.
E intanto - malgrado il parroco, malgrado il sindaco diopatriaefamiglia - i sussurri e i pettegolezzi si fanno notizie: forse non è vero che erano così felici; forse le foto sorridenti di Facebook nascondevano altro; forse stavano per separarsi, forse fra i due c'erano "gravi tensioni".
Quasi certamente, come da copione, lui la considerava proprietà privata. O mia o di nessuno, vittima da sacrificare sull'altare dell'impotenza di vivere. Odio e rancore che si estendono alle appendici di una donna, i figli. Dormivano, non erano "testimoni scomodi" del femminicidio: eppure (se è stato lui) bisognava eliminarli per cancellare ogni traccia di quella famiglia.
Ma il sindaco diopatriaefamiglia continua a raccontarci che in paese sono aumentati i furti nelle abitazioni. Saranno stati i rom.

mercoledì 4 giugno 2014

Bella vita


Ho appena sentito l'intervista rilasciata da Gianfranco Miccichè a Emanuele Lauria per Repubblica Tv.
Oltre ad essere un concentrato di boria, di spocchia, di arroganza, oltre al maschilismo bieco (e cosa aspettarsi da uno così?) che gli fa dire di avere incontrato le donne che frequentavano la casa di Berlusconi ma non di avere visto il suo padrone "utilizzarle", è davvero esilarante sentire le sue lamentazioni economiche.
Dunque: l'ex dirigente di Publitalia, l'ex Ministro, l'ex sottosegretario (tutti mestieri che consentono di mettere qualcosa da parte), il rampollo di una famiglia palermitana "agiata" (come si legge su Wikipedia) che - immagino - come tutte le famiglie agiate palermitane avrà case e terreni su cui campare facendo solo lo sforzo di grattarsi i coglioni, fa il pianto greco perché sostiene che con i quattromila euro mensili della pensione da parlamentare, avendo tre figli due dei quali da mantenere fuori, non si fa "una bella vita".
Conosco diverse coppie - insegnanti o impiegati - dove entrambi lavorano e dunque sono dei "privilegiati", anche se in due non raggiungono il solo stipendio di Miccichè: anche loro hanno figli da mantenere fuori e perciò l'impiegato fa tutto lo straordinario che può, l'insegnante torna da scuola, pranza rapidamente e si mette a fare lezioni private fino all'ora di cena. Senza soluzione di continuità. Si fanno un culo così. E non si lamentano, perché lo stanno facendo per i loro figli. Anzi, per loro è questa la bella vita.
Anche se alla fine l'unica polvere bianca che si possono comprare è la farina per fare il pane a casa, che costa meno.

Le 20 cose che ho smesso di fare


Le 20 cose che ho smesso di fare (ovvero, la non vita di un disoccupato ultracinquantenne):

Comprare libri
Comprare i quotidiani
Andare al cinema almeno una volta a settimana durante l'inverno
Andare all'arena quasi tutte le sere durante l'estate
Andare a teatro
Andare a un concerto
Comprare un cd
Viaggiare
Trascorrere almeno un paio di week-end estivi a Portopalo
Andare a Roma a coltivare gli affetti
Pagare le tasse
Andare da un medico
Andare a prendere una pizza con gli amici
Fare regali
Entrare in un bar e comprarmi un gelato
Telefonare ad amici e parenti
Comprare un vestito o un paio di scarpe inutili
Dormire (che sarebbe gratis, ma non se mille pensieri ti trafiggono durante la notte)
Spendere soldi in raccomandate per inviare curricula a destra e a manca

Cercare un lavoro (tanto, è inutile).